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Estratto

Prologo

 

La Guerra degli Elementi, nota anche come il Conflitto dei Primordiali, rappresenta il più lungo e distruttivo evento storico di tutti i tempi. Un torbido periodo segnato da lotte e ostilità incessanti. Non si sa con certezza quando essa scoppiò, poiché non ci sono arrivate testimonianze di ciò che era prima di allora. L’unica verità incontestabile è il coinvolgimento dell’intera Nesia. Si può addirittura affermare con certezza che fu proprio questa guerra a creare il mondo come lo conosciamo oggi. Con il risveglio degli antichi elementali, conosciuti come i “primordiali”, si è verificato il fenomeno denominato la “Dispersione dei Continenti”, a causa della loro colossale forza intrinseca. Secondo alcune fonti, persino avvicinarsi a questi esseri poteva risultare letale. Alcuni di loro presentavano una temperatura corporea talmente alta, che l’aria che li circondava bruciava i polmoni ed è riportato che quando, in casi estremi, utilizzavano la magia a pieni poteri, provocassero cataclismi naturali, come ad esempio il prosciugamento dei mari. Una delle teorie più interessanti, ancora oggi oggetto di dibattito, è che fu proprio da cotesto evento che si generarono le terre orientali oltre i Bianchi Monti, che segnavano il confine delle terre allora conosciute. Eppure, le prodezze di questi esseri non si limitavano a questo. La loro spaventosa magia generò anche inondazioni, terremoti e quanti più disastri naturali possano essere immaginati. Tuttavia, proprio questi sconvolgimenti crearono la Dispersione dei Continenti. Per questo preciso motivo, che un giorno i dieci araldi...

 

«Uff... che noia! Ma devo proprio leggere questa roba...?» sospirò il giovane principe.

«Vostra altezza, comprendo che effettivamente il testo appaia ostico, ma è importante che leggiate e assimiliate l’importanza di ciò che vi è scritto! Qui si tratta della gloriosa storia di come siano nati il vostro magnifico impero e le altre nazioni! È una storia di eroi e battaglie epiche, però parla anche di come si sia sviluppata la magia e di come tutti noi siamo riusciti ad appropriarcene. Il sapere racchiuso in questi splendidi tomi...»

Ma il ragazzo non stava più ascoltando. Non vedeva l’ora che quella lunga e noiosa lezione finisse. Tutti i giorni era la stessa storia. Cominciava le sue lezioni, costretto a imparare i nomi di questa o quella famiglia, che vivevano da qualche parte nell’impero, o in alcuni casi, persino al di fuori. Ma a lui cosa interessava dei loro nomi? Lui era il principe ereditario. Quando sarebbe diventato imperatore, tutti avrebbero dovuto obbedirgli ed eseguire tutto ciò che gli passava per la testa, senza obiettare. Quindi, era davvero così necessario imparare tutti quei nomi? Quelli che gli avrebbero obbedito, sarebbero stati premiati e quelli che non l’avrebbero fatto, sarebbero stati messi a morte, così gli altri li avrebbero semplicemente presi a esempio. Secondo lui, ciò che valeva la pena imparare era leggere e scrivere, ma solo perché doveva promulgare gli ordini scritti di suo pugno a tutto l’impero. Ma che bisogno c’era di studiare altre materie inutili come letteratura, storia, geografia, strategia e politica? Per un imperatore l’unica cosa importante era se i sudditi avessero obbedito ai suoi ordini, o no. A tutti gli altri particolari avrebbe provveduto qualcun altro. Questa era la maniera migliore in cui dovevano andare le cose. Oltre alla lettura e alla scrittura, tra le abilità che secondo il principe era opportuno imparare vi erano la scherma e l’equitazione. Era durante quelle lezioni che ci si divertiva. Si era sempre considerato uno schermitore nato, anche se non aveva mai avuto occasione di dimostrare il suo valore in battaglia.

Purtroppo, da poco era cominciata la lezione di storia e sarebbe durata ancora molto tempo. In realtà anche se fosse durata altri dieci secondi, sarebbe durata troppo per i suoi gusti. Perciò anche se avesse voluto uscire fuori all’aperto a menare fendenti, avrebbe dovuto pazientare. Tornò mogio alle sue lezioni e continuò di malavoglia la sua solita routine.

Quel giorno stava studiando la storia dei dieci eroi, conosciuti come gli araldi, che avevano sconfitto in battaglia gli antichi elementali, imbrigliato le loro essenze nelle reliquie e diffuso la loro magia nel mondo. O almeno sembrava che fosse andata più o meno così.

«...e non dimentichiamo, che fu grazie alla reliquia del ghiaccio Lyod che il primo imperatore Xylnius I...»

Da poco aveva cercato di concentrarsi sulla lezione, ma ecco che non appena sentì la voce di maestro Gareth che procedeva con le sue solite spiegazioni, la noia tornò a farsi sentire e si estraniò nuovamente. Non che il principe avesse avversione per il maestro, anzi, però lo riteneva un po’ eccentrico. Sin da subito, aveva notato che tra tutti i tutori che lo avevano istruito, fosse stranamente giovane. Ma nonostante la sua giovane età, aveva un atteggiamento paterno nei suoi confronti. Era estremamente paziente e anche quando il principe non aveva voglia di studiare e si dimenava e si lamentava in continuazione, il maestro non l’aveva mai richiamato più severamente del dovuto. Egli cercava di ricondurlo ai suoi studi, spiegandogli l’importanza di quelle lezioni. Il fatto che il principe non recepisse neanche una parola di quelle spiegazioni era un altro discorso. Una delle peculiarità del maestro che infastidivano il principe, era la sua abitudine a fissarsi su dei particolari che erano tranquillamente trascurabili, secondo sua grazia.

Ma non era l’unica stranezza che lo riguardava. Il principe, in qualunque occasione avesse visto il suo maestro, aveva notato che indossava sempre una cappa, o una fascia che gli copriva la fronte. Niente di particolarmente inquietante, eppure aveva sempre trovato curioso il fatto che girasse per il palazzo con parte del volto coperto.

Si poteva affermare senza alcun dubbio, che maestro Gareth non fosse proprio quel che si dice essere un topo di biblioteca. Al contrario, non appena vi era l’occasione, si univa anche lui agli esercizi di scherma assieme al principe e gli altri soldati a palazzo. Ovviamente non era il più forte del gruppo, però il principe credeva fosse un bene che non si limitasse a migliorare solo dal punto di vista culturale e imbracciasse le armi. Era di tutt’altro livello rispetto ai classici tutori che si rinchiudevano in stanze buie a leggere volumi polverosi, lunghissimi e certamente noiosi.

Il principe non riusciva proprio a capire cosa ci fosse di così bello in quelle vecchie storie che narravano di strani eventi semi-leggendari. Tutti nell’Impero di Egril conoscevano la storia dell’imperatore Xylnius I Holod, detto il Freddo. Era stato uno degli araldi della guerra degli elementi, aveva sconfitto le legioni dei primordiali e con la sua leggendaria lancia aveva abbattuto l’antico elementale del ghiaccio Ryodal e imbrigliato il suo potere nella sacra reliquia Lyod. Dopodiché aveva trasmesso e insegnato la magia del ghiaccio al mondo, divenendo il primo stabile, una persona affine alla magia dell’elemento del ghiaccio. Una volta consolidata la sua base, fondò l’Impero di Egril, riunendo le province a nord delle Terre di Crocevia e creò, con la magia dei ghiacci, il Castello del Gelo, ancora oggi usato come palazzo imperiale.

Sfortunatamente il principe Rhodes non aveva ereditato il talento per la magia dei suoi antenati. Come tutti era in grado di utilizzare la magia, ma imparare a memoria lunghe formule e frammenti di versi, non era per niente allettante. Riteneva che fosse molto meglio allenarsi con la spada. 

Il principe sospirò profondamente e più rumorosamente di quanto avesse dovuto e maestro Gareth interruppe la spiegazione. «Vostra altezza, capisco la vostra frustrazione, ma queste sono cose che chiunque dovrebbe sapere...»

«Sinceramente maestro Gareth, non ne vedo alcuna utilità. A cosa mi serve sapere queste favole per bambini?»

Il maestro abbozzò un mezzo sorriso e spiegò in tono pacato «Vostra grazia, queste non sono favole, per quanto successe in tempi antichi, sono accadute realmente.»

Il principe sospirò avvilito «Si, va bene, ho capito. Ma sono cose che ormai sono andate, passate, morte e sepolte, non ci riguardano!»

Il maestro alzò le sopracciglia «Non ci riguardano, dite? La storia ha tanto da insegnarci. Noi possiamo osservare gli errori dei nostri avi e cercare di correggerli. Grazie a essa, possiamo creare metodi migliori per sviluppare le idee del passato, o concepirne di nuove, in virtù di ciò che sono stati gli studi dei tempi andati.»

Il principe grugnì «Umpf... questi sono solo dei luoghi comuni. Non mi interessa cosa hanno fatto gli imperatori precedenti, io farò sicuramente di meglio! Se loro hanno sbagliato, è solo perché non hanno avuto abbastanza fermezza e forza nell’abbattere i loro oppositori e nemici. Quando io diventerò imperatore, imporrò la mia volontà e chi non si atterrà... beh... peggio per lui!»

Il maestro sorrise «Perdonatemi, però questa è una visione alquanto ingenua e infantile del mondo. Proprio perché voi sarete l’imperatore, significa che avrete sulle vostre spalle delle grandi responsabilità. Non solo dovrete pensare a proteggere le vite dei vostri sudditi da nemici e potenziali invasori, ma dovrete anche provvedere alla loro sopravvivenza e assicurarvi che non diventino eccessivamente scontenti del vostro regno, altrimenti sarete voi personalmente a pagarne le conseguenze. Inoltre il titolo di imperatore di Egril vi rende anche responsabile come custode della reliquia del ghiaccio, Lyod.»

Il principe si accigliò e scosse la testa con amarezza «Mio padre non mi ha mai concesso di brandirla, non mi ha neanche rivelato dove sia custodita. Non credo che mi permetterà mai nemmeno di avvicinarmi a essa...»

Maestro Gareth sorrise benevolo «Principe non disperate. Un giorno, sarete voi il custode della reliquia e dovrete essere in grado di utilizzarla saggiamente.»

Il principe assottigliò gli occhi «Se solo sapessi dove si trova, potrei sfruttare il suo potere e utilizzarla per conquistare il mondo intero! Con la mia forza e la magia della reliquia sarei inarrestabile! Ora come ora, è solo un oggetto inutile...»

Maestro Gareth lo guardò severamente «Non dite così, sapete perché le reliquie sono state sparse per il mondo e posti dei custodi a guardia?»

«Sì, perché i dieci araldi hanno ucciso gli antichi elementali e si sono divisi le reliquie. Ma poiché erano otto reliquie e dieci araldi, per evitare altre guerre, si sono spartiti le reliquie per diffondere e ricreare in tutto il mondo le magie di tutti gli elementi» ribatté seccato.

Il maestro fece una smorfia «Non è del tutto esatto. In realtà hanno deciso di custodire ognuno una reliquia, proprio perché il loro potere non dev’essere usato alla leggera. Ricordate che questo è stato lo stesso potere in grado di smuovere l’intero mondo. Ed è un potere che va oltre la normale magia elementale! Radunare un potere del genere, potrebbe scatenare una forza invincibile e irrefrenabile sull’intero mondo.»

Il principe ebbe un sussulto «Quindi, se un giorno riuscissi a radunare tutte le reliquie... potrei diventare invincibile?»

Il maestro fece spallucce «Teoricamente sì. Ma anche il prezzo da pagare sarebbe alto. Per questo bisogna capire il modo corretto di utilizzare le reliquie, non possono essere brandite da chiunque indiscriminatamente.»

«E come si capisce una cosa del genere?» chiese curioso.

Il volto di maestro Gareth s’illuminò «Oh! Finalmente sono riuscito stimolare il vostro interesse! Ecco perché è importante studiare i libri storici e i testi antichi! Queste sono le uniche fonti scritte su come sono state usate le reliquie. Ora capite cosa intendevo prima, quando dicevo che studiare la storia è necessario? Bene allora. Proseguiamo con la lezione?»

Senza controbattere, il principe Rhodes annuì e pensò tra sé e sé Una forza invincibile... Tornò a leggere il libro nel punto esatto in cui l’aveva interrotto e non sollevò più alcuna obiezione.

Dopo un’ora di lettura, il principe Rhodes sbadigliò sonoramente. Aveva tentato in tutti i modi di proseguire, ma la sua forza di concentrazione era ormai allo stremo.

«Posso indiscutibilmente affermare che oggi ho assistito a un vero e proprio miracolo. Voi che leggete in silenzio!» commentò sornione maestro Gareth. «La faccenda della raccolta delle reliquie vi ha ispirato nel profondo, vedo.»

Il principe si voltò e sorrise «Beh... è naturale!»

Il maestro allora continuò «Posso chiedere a vostra altezza, se poteste radunare le reliquie, per cosa le usereste?»

Il principe ammiccò «Ah! Mi sembra ovvio! Appena diventerò imperatore, forzerò tutti i custodi a cedermi le loro reliquie! Magari comincerò proprio da oggi con mio padre... Lo convincerò a rivelarmi tutto su Lyod. Una volta radunato il potere delle reliquie nelle mie mani, sottometterò il mondo intero! Che altro? Chi non userebbe il potere per accrescere la propria forza?»

Si sentì estremamente soddisfatto della risposta e osservò il maestro come a sfidarlo a trovarne una migliore.

A quel punto maestro Gareth annuì lentamente e poi disse «In effetti… è stata una domanda alquanto stupida la mia...» Era visibilmente poco convinto, ma il principe non ci badò. «Maestro Gareth, mi aiuterai un giorno a radunare le otto reliquie degli elementi, quando sarò imperatore?»

Il maestro allargò il proprio sorriso e chinando il capo con rispetto, rispose «Certamente! Vi aiuterò come potrò, vostra altezza.»

Il principe Rhodes ridacchiò soddisfatto e domandò «Maestro, se tu fossi al mio posto... cosa faresti, se radunassi le sacre reliquie?»

Il maestro fu sorpreso dalla domanda, sgranò gli occhi, ma riprese con voce calma «Ecco, vedete... se io avessi la possibilità... e lo dico così, in linea prettamente teorica... non userei questo potere per me stesso...»

Capitolo 1

Il generale sfuggente 

Il sole era alto.

Il cielo era così terso, che bastava un solo sguardo a trasmettere tranquillità. Nessuna nuvola lo attraversava, quasi sarebbe stato un affronto se l’avesse fatto. Ma dalla fitta e intricata foresta, la visione di quella bellezza e luminosità era preclusa. 

In realtà non gli dispiaceva, non era un amante della luce del sole e nonostante fosse ancora un ragazzo, preferiva i luoghi chiusi e silenziosi. Non appena aveva occasione, si rinchiudeva a studiare nella sua stanza. Non amava molto stare a contatto con gli altri, né uscire all’aperto. In effetti, non si relazionava quasi con nessuno.

La cosa sembrava reciproca. Quelle rarissime volte in cui aveva provato a interagire con qualcuno, si allontanavano da lui con sguardo diffidente e in alcuni casi, cambiavano strada per evitarlo. Forse a causa del suo aspetto, pallido e smunto, con capelli sporchi, unticci e neri come la pece, forse per i grandi e penetranti occhi rossi iniettati di sangue, che incutevano una strana sensazione di soggezione mista a timore. Ma tutti si fermavano a fissare il piccolo segno rosso a forma di spirale con la punta a uncino sul dorso della mano destra. Secondo le superstizioni e le credenze popolari, coloro che possedevano dei segni simili sul loro corpo, erano posseduti da potenti spiriti elementali, che esercitavano la magia tramite questi sfortunati portatori. Anche lui era ritenuto uno di quei malcapitati e ogniqualvolta il suo segno veniva notato da qualcuno, immediatamente lo guardavano con sospetto e diffidenza. In realtà, come gli era stato insegnato, gli spiriti stringevano dei patti con le persone e non prendevano possesso dei loro corpi. Quando gli eruditi incappavano in questi soggetti, si mostravano particolarmente entusiasti nell’adottarli e nell’istruirli, per approfittare del loro potere magico più potente di quello posseduto dalla gente normale. Anche il suo vecchio maestro Tyren apparteneva a quella schiera di maghi.

Ogni giorno, infatti, l’anziano gli assegnava dei “piccoli compiti”, che invero erano vere e proprie missioni, per poterlo “iniziare ai profondi e intricati segreti delle arti arcane”. Al vecchio Tyren piaceva darsi un tono, gonfiando i suoi discorsi con giri di parole e con termini altisonanti e Zephyr sospettava che non avesse mai trovato una compagna, perché l’anziano maestro era troppo innamorato della sua voce, per prestare attenzione a ciò che lo circondava. Inoltre era perfettamente consapevole che le sue lezioni erano del tutto inutili. Di certo aveva imparato a eseguire gli incantesimi più semplici, per quanto avrebbe preferito studiare seriamente magia, al posto di perdere tempo a fare commissioni per vecchi ciarlatani. 

In ogni caso, non c’era traccia di alcuno spirito che avesse preso possesso del suo corpo.

A dirla tutta, Zephyr era sicuro che fosse un semplice segnato, ossia un figlio di un umano e un bake, o gli uomini bestia, come venivano spesso denigrati. Non ricordava di aver mai stretto nessun patto con alcuno spirito e anche se non ricordava chi fossero i suoi genitori, la logica suggeriva che la seconda ragione fosse la più plausibile.

Tuttavia, quando i bake vedevano quell’insignificante sfogo sulla mano, lo evitavano come se fosse un lebbroso, gli ringhiavano contro, o addirittura lo aggredivano.

Vedendo il bel tempo, maestro Tyren aveva deciso di mandare il giovane allievo, di buon mattino, nella foresta vicina alla sua casa, per raccogliere delle erbe mediche di cui aveva bisogno. Zephyr doveva sbrigarsi a tornare, prima che il sole giungesse allo zenit, altrimenti maestro Tyren lo avrebbe preso a vergate per il ritardo. Però sapeva che in qualunque momento fosse rientrato, sarebbe stato comunque in ritardo. Imprecò tra sé e sé, poiché tutto il tempo del mondo non gli sarebbe bastato ed era ancora a metà del lavoro. Una bella ripassata non gliel’avrebbe tolta nessuno.

Ma non era quella la sua preoccupazione principale. Ormai all’eccessiva severità del vecchio tutore ci era abituato. Infatti, non aspettava altro che un pretesto per sfogare la sua frustrazione sull’allievo e quel giorno sarebbe stata solo un’altra di quelle occasioni.

Il suo vero cruccio era che in quel preciso momento si trovava da solo, disarmato e in pieno territorio bake, che come gli diceva spesso il maestro, mal sopportavano le intrusioni, specie se a farle erano degli umani. Il clan dei gari minori, che risiedeva nel cuore della foresta, non aspettava altro che dare la caccia ai teneri e polposi umani che avevano l’ardire di avventurarsi nel loro territorio. Secondo i racconti del maestro, le spietate e infide bestie del clan inseguivano gli umani fino allo sfinimento nel labirinto di alberi, per poi attirarli nelle loro trappole. Una volta catturati, legavano mani e piedi degli sventurati a un palo, per poi portarli di peso nelle grotte oscure dove vivevano, per farli divenire piatti di portata dei loro macabri banchetti, tagliando le loro carni pezzo per pezzo con le unghie ferine, oppure li appendevano a testa in giù per staccare i loro arti a morsi. 

Zephyr non aveva prestato più di tanta attenzione a quelle sciocchezze, bollandole come storie per spaventare i bambini. O meglio lui. Ma nonostante quei racconti dalla dubbia veridicità, le abilità dei gari minori non potevano essere messe in discussione e se non fosse stato attento, una guardia gari di pattuglia lo avrebbe sicuramente fiutato di lì a breve. Era strano pensare, che seppure fossero superstizioni irrazionali, le uniche cose che gli passavano per la mente in quel momento, erano proprio le storie di persone a cui venivano strappate le gambe a morsi e trascinati per le braccia, oppure delle povere donne a cui sfiguravano la faccia con i loro artigli.

Cosa sarebbe successo se si fosse imbattuto in un gari improvvisamente? Non aveva armi e il massimo che era riuscito a fare con la magia era far appassire un fiore, che aveva cercato di far riprendere.

Magari sarebbe stato fortunato, lo avrebbero visto come una preda poco appetibile, essendo pallido come un cencio e magro come uno spillo e lo avrebbero ignorato. 

Altrimenti…

Meglio non pensarci! Sono solo delle stupide baggianate! si disse e s’immerse nuovamente nella sua ricerca.

Non era difficile perdersi nella foresta, anche per i viandanti più esperti, ma lui non aveva questo problema, malgrado gli alberi sembrassero tutti uguali, il giovane sapeva orientarsi perfettamente. O almeno così credeva.

Bene, qui non mi sarà difficile trovare le foglie di rovo rosso. Poco più avanti, infatti, gli si presentò uno spettacolo di piante dal legno scarlatto dello stesso colore dei suoi occhi, spinose e attorcigliate l’una all’altra, come le spire di un serpente attorno alla preda. Si avvicinò alla pianta con cautela, per evitare di pungersi. Il veleno non sarebbe stato mortale, tuttavia avrebbe preferito non passare la settimana successiva febbricitante, a sentire il vecchio Tyren strepitare tutto il tempo su dolori immaginari e su come un vero mago potente non avrebbe risentito minimamente di effetti così piccoli e insignificanti. Fortunatamente riuscì a procurarsi alcune foglie, che mise nella bisaccia, senza subire neanche un graffio.

In quell’esatto momento si rese conto di essersi addentrato nel cuore della foresta, poiché ciò che gli stava attorno aveva cambiato aspetto. Dai fitti alberi verdi dalla corteccia morbida che lasciavano intravedere la tenue luce del sole, ora vi erano piante con tronchi dal legno scuro che rasentava il nero, le cui fronde erano così fitte da costituire un soffitto naturale di foglie. Il giovane dovette fare più volte attenzione a non inciampare in trappole naturali costituite da radici e rovi, sempre più numerosi.

Decise di tornare indietro, quando improvvisamente, sentì il suono di un ramo spezzato. Non appena percepì quel rumore, sapeva quello che sarebbe successo.

E non sarebbe stato piacevole. 

Si voltò di scatto e corse il più velocemente che poté verso la strada alle sue spalle, incurante delle spine che gli strappavano la lunga tunica nera e gli graffiavano il volto. Alcune gli si conficcarono nelle mani, lasciando ferite e gonfiando le sue dita arrossate.

Un possente ruggito si diffuse per tutta la foresta e Zephyr capì che erano vicini. Dannazione! imprecò interiormente, sperando vivamente di non essere lui la preda designata. Continuò a fuggire alla massima velocità che le sue corte gambette gli permettevano. All’improvviso sentì un’ombra sui rami sopra di lui.

Speriamo che hanno puntato qualcuno, o qualcosa davanti a me... pensò con poca convinzione. Purtroppo, come aveva temuto, era lui il bersaglio prescelto. Non aveva neanche finito di formulare quel pensiero, che l’ombra balzò dai rami e atterrò giusto un passo davanti a lui. Non si rese nemmeno conto di cosa stesse succedendo, che sentì tutta la forza di un braccio, che lo prese per il bavero e lo scaraventò contro l’albero più vicino.

Nonostante tutti i suoi sforzi, per sua sfortuna, era stato raggiunto.

«Bene, bene. Guarda cos’abbiamo qui...»

Un’altra ombra raggiunse la prima e squadrò Zephyr dall’alto in basso.

«Tsk… un invasore. Non sai che non si entra in casa d’altri senza permesso, eh?»

Non appena si riprese dal colpo, Zephyr osservò meglio i suoi assalitori. Erano entrambi molto alti, uno aveva la corporatura smilza, con una fascia che gli copriva la parte superiore degli occhi. L’altro invece era più massiccio e aveva una fascia di stoffa gialla dagli spessi bordi verdi, con cui legava i lunghi capelli. Entrambi avevano delle lunghe zanne affilate e unghie ricurve nere da felino, molto più lunghe di quelle di un gatto normale, delle orecchie triangolari, un muso leggermente schiacciato e il più massiccio dei due aveva dei lunghi baffi felini argentati che spuntavano dal viso. Il loro corpo era quasi del tutto identico a quello di un uomo normale, se si esclude il pelo lungo che gli copriva le gambe e le braccia. Il pelo del bake più grosso era rossastro, tendente all’arancione, con una lunga coda dello stesso colore, con una punta di bianco alla fine. Il più snello invece aveva un pelo grigiastro e la coda con delle striature di un grigio leggermente più scuro. Per il resto erano del tutto identici a umani normali. Avevano lunghe gambe robuste e braccia muscolose con grandi mani, un torace, un addome come quelli umani e lo stesso valeva anche per i muscoli del collo e la posizione dei connotati facciali.

Il bake dal pelo rosso ringhiò «Cos’è? Sei sordo? Il mio compare ti ha fatto una domanda! Rispondi!»

Zephyr era totalmente paralizzato dal terrore, a stento riusciva a spiccicare due parole normalmente, figurarsi durante un’aggressione.

«Dovremmo proprio insegnare l’educazione a un misero ladruncolo di galline come te!»

«I-I-I-Io...» balbettò.

«Oh! L’intruso sa parlare. Per un momento ho pensato che il gatto ti avesse mangiato la lingua...» L’amico ridacchiò alla stupida battuta. «Allora, visto che sai parlare, ti porteremo dai nostri amici, così ci spieghi perché un umano è venuto a derubarci dei nostri tesori e invadere il nostro territorio!»

«I-I-Io non ho rubato niente...» rispose timidamente il giovane.

Ma i due non sentirono neanche una parola e non avevano alcuna intenzione di farlo. Si avventarono immediatamente su di lui a grande velocità. Tesero le braccia in avanti, pronti a graffiarlo con le loro unghie affilate, oppure per infilzargliele al collo.

Purtroppo non era stato molto fortunato.

Pensò che ormai fosse giunta la fine, mise le mani davanti alla faccia per proteggersi come meglio poteva, chiuse gli occhi e…

«Generale…?»

Scosse la testa e vide di fronte a lui una donna che stava aspettando una sua reazione.

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