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Estratto

Capitolo 18

Un mondo senza Edrian

Era disteso per terra sulla pietra fredda e umida.

Aveva perso il conto dei giorni in cui era stato rinchiuso là dentro. Non c’era un filo di vento che soffiava, solo l’umidità che lo opprimeva. Fortunatamente anche se gli avevano confiscato tutti gli oggetti che portava con sé, aveva ancora addosso il suo pantalone, i suoi stivali e la camicia che indossava quando lo avevano incarcerato. Aveva dimenticato cosa fossero la luce e i colori. Per quanto l’occhio si potesse abituare al buio, non avrebbe mai potuto vedere niente nell’oscurità totale. L’unica eccezione era la microscopica luce rettangolare che passava dalla fessura che si apriva, due volte al giorno, dalla porta di metallo blindato che chiudeva la sua cella. Ogniqualvolta che quel barlume entrava, durava solo per pochi istanti. Si trattava di un tenue chiarore, quasi impercettibile, ma da quando era rimasto rinchiuso là dentro, anche quella tenue luce rappresentava l’ultimo contatto che aveva con il mondo reale. Ogni volta che quella microscopica luce penetrava all’interno, gli si riaccendeva nuovamente la speranza di un nuovo giorno di vita, prima di ritornare a sprofondare nuovamente nelle tenebre eterne, attendendo inerte la sua fine. Non solo per il semplice fatto di rivedere la luce, ma anche perché gli era servita una ciotola di brodaglia che gli veniva spinta da sotto una stretta fessura rettangolare da una guardia reale. Era una poltiglia schifosa e non sapeva nemmeno che cosa ci avessero messo dentro. Ma per due volte al giorno, poteva riempirsi lo stomaco e limitare i morsi della fame che lo dilaniavano. Ma più che per la fame, per due volte al giorno faceva qualcosa di diverso dal rimanere rannicchiato sulla fredda pietra a rimuginare e a defecare in un buco. Quella luce impercettibile era come se lo riattivasse, gli desse nuova vita e quando spariva lo spegneva nuovamente, rigettandolo negli abissi più profondi della sua indolente e monotona esistenza. Si sentiva come un pesce preso di mira dai pescatori, quella fessura che si apriva era come un’invitante esca che lo attirava dalle fredde correnti marine e gli dava un minimo di conforto sfamandolo, ma ogni volta che si richiudeva era come l’amo che lo strappava dalle sue acque e gli toglieva la vita a poco a poco, lasciandolo soffocare nel suo doloroso e prolungato tormento, che lo avrebbe prima o poi portato alla morte.

Tutti sapevano che a Novgrad non c’erano le segrete poiché tutti gli innocenti sarebbero stati scagionati, mentre i colpevoli sarebbero stati messi a morte, o nel peggiore dei casi, promossi a guardia reale. Ma quella era una mezza verità. In effetti non c’erano molte celle in cui sistemare i prigionieri, solo poche decine, che per una capitale, era praticamente niente. Ma una piccola sezione per le segrete era presente nei sotterranei del Castello del Gelo. Per quel poco che si era reso conto, erano tutte celle di isolamento con porte blindate in metallo, catene alle pareti e spazio appena sufficiente per potersi stendere. Quando lo faceva, riusciva a toccare le estremità delle mura con le punte dei piedi, senza doversi neanche sforzare per allungarsi un po’. Non sapeva il perché, ma non gli erano state legate le catene ai polsi. Forse avevano capito che non aveva le forze necessarie per reagire, magari perché non avrebbe comunque potuto sfondare le mura in alcun modo, oppure perché non c’era modo di scassinare la porta blindata, o, probabilmente, anche se avesse miracolosamente trovato una maniera per fuggire, le guardie reali stanziate davanti alla porta, giorno e notte, lo avrebbero fermato all’istante.

Generalmente nella sua cella regnava il silenzio più assoluto. L’atmosfera era così silenziosa, che sentiva il suono dei passi delle persone che camminavano ai piani superiori, le chiacchiere dei servi e delle persone indaffarate che si affaccendavano nelle più svariate attività quotidiane. Cosa non avrebbe dato per poter tornare a fare anche lui quelle stupide attività quotidiane come tutti gli altri, come prepararsi da mangiare in una cucina, lavarsi e cambiarsi i vestiti, o leggere. Persino cambiare stanza gli sembrava una nuova avventura eccitante. Certi momenti, però, c’era talmente tanto silenzio che sentiva solo il suono del suo respiro, percepiva i propri polmoni riempirsi di aria stagnante ed espellere sporcizia ancora peggiore, che poi sarebbe inevitabilmente tornata ai polmoni. A volte vi era talmente tanto silenzio, che sentiva persino il suo cuore battere debolmente. Era impercettibile e raramente riusciva a farlo, ma riusciva a percepirlo. Batteva sempre a ritmo costante, sempre debole, timidamente. A volte desiderava che si fermasse. 

Ma preferiva quel rumore sommesso nel silenzio, rispetto a quando c’erano le urla. La prima volta che le aveva sentite, era stato proprio il giorno in cui era stato rinchiuso. Sentiva in lontananza rimbombare una voce che sembrava falsata. Forse era troppo distante per capire cosa stesse dicendo e il riverbero delle celle faceva sentire le parole distorte. Faceva eco un’altra voce, il cui timbro sembrava anch’esso falsato e distorto, ma era molto più calmo rispetto alla prima voce. Anzi alcune volte appariva quasi divertito. Non badò molto alla conversazione, finché inaspettatamente non sentì un urlo lancinante, che gli perforò i timpani «AAARGH! Pietà Lady Erinnia! Abbiate pietà! Non c’entro niente! Non ho fatto niente!»

Non appena sentì quelle grida mostruose, cominciò a tremare come una foglia. Cosa gli stavano facendo? Sarebbe toccato anche a lui? Chi era Erinnia? Perché lo stavano torturando? La ripassata del generale della brigata blu gli era stata sufficiente. Cos’altro avrebbe dovuto subire? Non si era di certo pentito della sua decisione e aveva persino affrontato l’imperatore a testa alta. Ma fino ad allora non sapeva a cosa stesse andando incontro. Era consapevole che lo avrebbero giustiziato e avrebbe dovuto subire le peggiori torture e supplizi prima della condanna. Tuttavia non aveva tenuto conto che anche durante la prigionia avrebbe dovuto patire. Stava avendo dei ripensamenti sulla sua scelta. Soprattutto perché personalmente, non avrebbe voluto arrivare a tanto. Si provava a convincere che non c’era stata altra scelta e che era meglio che fosse stato lui a subire un destino tanto gramo, piuttosto che sua madre, o uno dei suoi fratelli. Però in quel momento, quella sua convinzione stava cominciando a vacillare. Per quanto avrebbe dovuto soffrire prima che venisse posta fine alla sua vita? Sarebbe stato davvero pronto quando sarebbe toccato a lui? E quando sarebbe toccato a lui? Perché aveva capito che era solo una questione di tempo. Perché aveva fatto quello che aveva fatto? Era davvero meglio che fosse lui a soffrire così tanto? Avrebbe resistito al dolore? Non sarebbe stato meglio se Gades...?

Cercò di non pensarci. Ma quelle strilla acute gli rendevano difficile distoglierlo da quel pensiero.

Fortunatamente i giorni passarono e il suo turno non venne mai, con suo grande sollievo. L’unica visita che riceveva quotidianamente era quella della luce, seguita dalla ciotola di brodaglia. Sinceramente sperava che nessun altro lo andasse a trovare. Per un po’ di tempo non sentì più quelle urla, per cui si convinse che era stato un evento unico, un’eccezione. Finché poi non risentì la stessa identica voce riecheggiare tra le mura, evocare la pietà di un certo Lord Radamante. La volta successiva fu invocato il nome di un certo Lord Sarpedonte, poi toccò nuovamente a Lady Erinnia e una volta gli parve di sentire persino un Lord Holster. Non aveva mai sentito quei nomi, nemmeno da suo padre. Però adesso desiderava che non li avesse mai sentiti. Quando udiva quelle urla spaventose, si rannicchiava in posizione fetale e si tappava le orecchie. L’unica speranza che aveva era che di qualunque cosa si trattasse, quel tormento finisse rapidamente. Quelle continue invocazioni di pietà, quelle grida di sofferenza terminassero. Ma cosa aveva fatto quel poveretto per potersi meritare qualunque supplizio gli stessero facendo? Quei Lord e quella Lady Erinnia come facevano a rimanere insensibili davanti a così tanto dolore? Lui non stava nemmeno guardando e non riusciva a resistere neanche per due secondi. Quelle torture andavano avanti per minuti interi e anche dopo che smettevano, le grida gli rimanevano impresse nella memoria, anche a distanza di tempo, riecheggiavano nella sua testa, vivide come se il prigioniero stesse urlando davanti a lui. Erano una presenza costante nella sua cella, come se le pareti buie ne avessero catturato il suono e lo rilasciavano casualmente nei momenti di distrazione.

Trascorreva però la maggior parte del tempo a pensare ai suoi cari. Non era preoccupato per loro, era sicuro che in qualche modo se la sarebbero cavata. Anzi probabilmente avevano già trovato una nuova sistemazione e si erano adattati alla nuova vita senza di lui. Il suo primo pensiero andò a sua madre Izolda. Se la immaginava a imprecare contro la brigata blu e l’imperatore, mentre scuoteva continuamente la testa, brontolando per la fatica e per il disastro che le avevano combinato a casa. Magari ora che avevano trovato un nuovo posto in cui stare, proprio in quel momento stava risistemando e rassettando i mobili. Chissà se ne avevano trovati di nuovi, o erano andati a riprendere quelli della loro casa. Si immaginava vividamente Ermac, Lucia e Gades che saltavano sui divani appena sistemati e sulle comode poltrone, mentre giocavano allegramente a interpretare qualche personaggio delle favole, finendo per creare più scompiglio dei soldati, suscitando le ire della madre che gli avrebbe gridato contro quanto fossero dei disgraziati. Magari a breve, sarebbe ritornato il padre, forse era già tornato per quanto ne poteva sapere e avrebbe riabbracciato con gioia sia la moglie, che i suoi figli, che lo avrebbero accolto a festa. Avrebbero magari fatto delle passeggiate e giocato assieme per tutto il giorno. Una volta arrivata l’ora di cena, si sarebbero radunati tutti attorno al tavolo e gustato i manicaretti della madre che avrebbero tutti di certo apprezzato. Magari avrebbero chiamato qualche ospite, come gli amici dei suoi genitori, Bryce e Glenda, che non sapevano cosa fosse accaduto. Magari avrebbero chiamato anche gli amici della madre, come la signora Ivana, o suo marito Irtharr e loro figlia. Oppure addirittura sarebbe passato il generale Zephyr, di ritorno trionfante dalle sue nuove imprese. Già si immaginava la madre che faceva un sacco di storie che sarebbe venuto, ma in realtà era sempre molto contenta quando passava per casa e anche se non glielo diceva, gli faceva sempre trovare i suoi piatti preferiti e gli lasciava sempre i bocconi di carne più prelibati. Ricordò che qualche volta gli aveva persino rammendato le tuniche, quando diventavano troppo logore. In un certo senso, considerava il generale come un figlio troppo cresciuto.

Forse stava viaggiando troppo con la sua fantasia. Forse a rimanere chiuso là dentro da solo al buio, stava veramente perdendo la testa. Però a ripensare questa bella scenetta, per quanto finta e un prodotto della sua immaginazione, dovette ammettere che era bello quel mondo senza Edrian.

Magari non avrebbero nemmeno sentito la sua mancanza. Chissà se sarebbero venuti ad assistere alla sua dipartita il giorno della condanna. Può darsi che si sarebbero nascosti tra la folla, oppure si erano già dimenticati di lui. Oppure avevano abbandonato ogni speranza di rivederlo e quindi si erano del tutto disinteressati alla faccenda. Forse avevano già accettato che ormai lui sarebbe stato condannato a morte e avevano fatto in modo che tutto tornasse alla normalità, come se niente fosse successo. In fondo, perché preoccuparsi? Era stato lui a gettarsi in quella situazione senza scampo.

Scosse la testa, era ovvio che giorni interi nella solitudine e nel buio più totale stavano giocando degli strani scherzi alla sua mente, provata da giorni di prigionia. Ma tirando le somme, dovette ammettere che per quanto non fosse stata una brutta vita, non poteva neanche essere certo del contrario. C’erano tante cose che ancora non aveva provato. Non aveva mai viaggiato oltre i confini di Novgrad, non aveva mai visto un paese al di fuori dell’impero, non aveva terminato i suoi studi, non era ancora riuscito a padroneggiare la magia dei mutatori, non era riuscito a scoprire il segreto del nono elemento, non era mai andato fino in fondo con una donna, non ne aveva mai neanche baciata una. Quante cose di cui si era privato. Quante cose ancora non aveva provato. E adesso non avrebbe più potuto farle. Di certo aveva fatto delle cose buone. Aveva cercato di essere un buon figlio per i suoi genitori, ubbidiente, servizievole e mai una lamentela nonostante tutto. Aveva cercato di essere un buon fratello maggiore per i suoi fratellini, forte, anche nei momenti di debolezza, sorridente, anche quando non aveva voglia, severo, quando era necessario. Aveva tentato di essere un buon tutore per Gades, per quanto non aveva avuto molto successo. Il ragazzino stesso gli aveva esplicitamente detto più volte quanto fosse incapace. Ma almeno ci aveva provato. Aveva persino salvato la vita ad alcune persone, tra cui Gades, Dana e suo fratello.

Eppure nonostante tutte le cose positive, non era più convinto che ne fosse valsa la pena.

La realtà era che non aveva più molto senso.

Ormai sua maestà aveva decretato il suo destino e ora non poteva fare altro che rimanere lì inerte, in attesa che si compisse. Ricordava ancora quando era stato condotto dal generale maiale davanti al suo cospetto. Era alla sala delle udienze e avevano interrotto altre persone che erano lì presenti. Era ancora sostenuto da Gunther e la soldata che chiamavano Tesse, quando lo condussero davanti alle scalinate poco distanti dal trono. Edrian con lo sguardo appannato e stanco aveva intravisto al lato destro del trono, un uomo dall’aspetto giovane e capigliatura bionda a caschetto, con un piccolo banchetto legato alle spalle, con su calamaio e inchiostro. Non appena li vide arrivare, lo guardò in faccia con uno sguardo tra il disgustato e il basito. Mentre lo scrutava, smise di scrivere. Dall’altro lato vide Lord Butters dall’espressione scandalizzata e sconvolta. Sembrava sinceramente preoccupato a giudicare dall’espressione. Quando l’imperatore, seduto sul trono, lo vide, strabuzzò gli occhi, si alzò in piedi e accorse per andarlo a soccorrere «Edrian! Cosa è successo?» disse con una voce delicata. Poi rivolgendosi ai soldati, abbaiò con violenza «Perché è ridotto in questo modo? Chi è stato?!»

Immediatamente il generale Horsebred con un sorriso malevolo rispose «Vostra altitudine, allontanatevi da questo schifoso traditore! Ha fatto scappare il principe Garrad, i mocciosi dei fratelli e quella cagna della madre. Allontanatevi, o vi schiafferà addosso qualche strana magia...»

L’imperatore era impietrito e con un movimento legnoso, lo osservò dall’alto in basso «Edrian, cosa significa? Hai davvero fatto fuggire il principe Garrad, contravvenendo al nostro diretto ordine di catturarlo?»

Edrian con le ultime forze residue, sollevò lo sguardo e lo guardò dritto negli occhi. I suoi occhi dorati increduli e sbigottiti. Affranto e dispiaciuto, annuì con fatica, poi disse in un sussurro «Mi dispiace, vostra maestà. È vero. Ho fatto fuggire Gades e la mia famiglia che cercava di proteggerlo. Non ho scusanti...» con il labbro che gli tremava.

Vide la faccia dell’imperatore contorcersi dalla rabbia, poco dopo gli urlò contro violentemente «Hai idea di cosa hai fatto con questo tuo folle gesto, Edrian? Hai permesso la fuga a uno dei più pericolosi criminali dell’intera Nesia! Abbiamo già tollerato le menzogne che tuo padre ci ha propinato, per questo abbiamo cercato di non coinvolgervi! Sapevamo che non avreste capito! È solo per il nostro immenso affetto che proviamo per la tua famiglia, che non vi abbiamo condannato tutti! E tu, ci ripaghi ribellandoti a un nostro diretto ordine?» 

Edrian era profondamente dispiaciuto «Mi dispiace, vostra maestà. Ma non sarei potuto andare contro la mia famiglia. So che avete le vostre ragioni, ma non avrei potuto sopportare che uno dei miei fratelli subisse un destino così...»

L’imperatore non ci vide più «Non è uno dei tuoi fratelli, Edrian! Perché vi ostinate a proteggerlo?!»

A Edrian penzolò la testa «Vi prego di ripensarci, vostra maestà... è solo un ragazzino di dieci anni e non conosce neanche le magie più elementari...»

Rhodes IV rimase di stucco per un attimo. Non riusciva a trovare le parole. Poi esplose nuovamente «Per ora, Edrian! Per ora! Ma quando si renderà conto delle sue capacità, chi potrà fermarlo? Tu?!»

Edrian non riusciva a capire il perché di tanta rabbia e ostinazione. Era sicuro che sua maestà non avesse dato quell’ordine per capriccio. Dovevano esserci delle ragioni valide dietro quella decisione. Doveva sapere, doveva capire.

Disse con un filo di voce «Vostra maestà, vi imploro, ditemi solo perché... è solo un ragazzino non diverso da tanti altri... Perché questo accanimento nei suoi confronti? Perché?»

L’imperatore Rhodes fece un respiro profondo. «Le ragioni della nostra decisione non ti riguardano, Edrian. Ciò che conta è che hai disobbedito ai nostri ordini e ti sei opposto alla nostra autorità, reagendo alla brigata blu che avevamo inviato. Ci hai profondamente deluso... Proprio tu, tra tutti, che ti amavamo come un figlio...»

Edrian abbassò la testa. Quello aveva fatto più male di tutte le botte e le percosse di Bayan. Anche perché se avesse potuto decidere e se non fosse stata coinvolta la sua famiglia...

«Avete ragione, vostra maestà. Sono un mostro indegno di stare alla vostra sola presenza. Punitemi come meglio credete. Ma vi prego, vi imploro, ripensateci...»

L’imperatore ebbe uno scatto di rabbia «Non sei in posizione proprio di chiederci niente! Non hai idea del pericolo in cui tu e la tua famiglia ci avete messo! Il mostro che avete sguinzagliato nell’impero!»

Alzò il braccio destro pronto per schiaffeggiarlo.

Bayan rise malignamente alla visione di quel gesto. Il ragazzo biondo guardò stoicamente la scena e Bastian impallidì tendendo una mano verso di loro, come per fermarlo.

Edrian chiuse l’occhio e si preparò a ricevere l’ennesimo colpo, quello più doloroso e più pesante di quella giornata interminabile.

Invece sentì sulla sua guancia un tocco gentile, leggiadro. La mano gli accarezzava la guancia, sembrava come una lieve nevicata nelle prime giornate di freddo, quando si deposita con delicatezza sulle distese pianeggianti, ammantando il tutto con i soffici cumuli di neve bianca e pura. Le sue dita erano come la lieve brezza del vento calmo primaverile, che soffia sulle pianure sferzate dal gelo per tutto l’anno. Al solo sentire quel tocco così tenue, si sentì rinfrancato. Era così delicato che sembrava quasi femminile, come la carezza di una madre. Era così dolce che persino le ferite non gli facevano così male come prima.

Quando riaprì gli occhi vide che sua maestà si era girato di spalle. Disse con una voce affranta, ma decisa «Portatelo via» mentre tornava a sedersi sul trono.

Allora Bastian, visibilmente preoccupato, supplicò «Vostra maestà, vi prego. Posso chiedervi di ripensarci? È un ragazzo così giovane, ha fatto quello che ha fatto solo per proteggere la sua famiglia, non è forse davvero troppo pensare che un figlio si rivolti...?»

Un richiamo ad alta voce si levò e ruggì per tutta la stanza «Lord Butters!»

Bastian guardò con occhi sgranati il ragazzo che lo aveva richiamato.

Edrian scosse la testa «Ero consapevole delle mie azioni e delle leggi. Sono pronto a pagare il prezzo delle mie responsabilità. Vi ringrazio per il vostro interesse e le premure nei miei confronti. Siete davvero un uomo saggio e degno di lode. Ma è giusto così...»

Bastian scosse la testa triste e sconsolato, mentre tornò al suo posto in silenzio.

Poco prima che Gunther e Tesse lo potessero trascinare via, Edrian chiese «Vostra maestà, posso dire un’ultima parola?»

Vide la massiccia figura dell’imperatore voltarsi di profilo.

Edrian raccolse il suo coraggio.

«Non mi pento delle mie azioni, sono ancora convinto che Gades non meriti la morte. E difenderei la mia famiglia da chiunque la minacci, o la metta in pericolo. E anche se ritornassi indietro, rifarei tutto. Ma vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto per me e la benevolenza che avete dimostrato nei miei confronti. Sappiate che non provo alcun sentimento di odio nei vostri confronti, al contrario ritengo che voi siate il più giusto, il più onorevole e il più valoroso tra gli imperatori della vostra dinastia. Se le circostanze fossero state diverse, vi avrei seguito fino alla morte. Se io fossi stato al posto di mio padre, vi avrei obbedito, perché so che siete nel giusto. Spero che la mia condanna, sia d’esempio per i vostri nemici. Spero voi e la futura regina imperatrice Lady Rosten siate felici e che il vostro regno sia prospero e duraturo. Che l’aquila del gelo rischiari il vostro cammino, vostra maestà! Lunga vita all’imperatore Rhodes IV discendente dell’eccellente araldo Xylnius! Lunga vita a Melissa Rosten futura regina imperatrice, la più nobile delle donne di Nesia! Edrian perirà con l’ideale dell’Impero di Egril nella mente, l’amore dei suoi familiari nel cuore e il vostro nome tra le labbra. Addio vostra maestà, porgete il mio estremo saluto a Lady Rosten, sono onorato di avervi conosciuto.»

Il silenzio scese nella sala.

Edrian vide l’imperatore stringere con forza le mani «Portatelo via!» ordinò rabbiosamente, scandendo bene le parole. E fu l’ultima cosa che sentì, prima di essere trascinato e rinchiuso nella buia cella.

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