top of page
Le Due ... Tomo 1.jpg

Prologo

Quella notte il secondo spicchio di luna crescente sorrideva beffardo in cielo.

Sperava che fosse così anche in quel bel mondo che non faceva altro che osservare con curiosità e un pizzico di divertimento.

La sua spiccata curiosità lo portava a osservare ogni giorno un mondo diverso, alla ricerca di qualunque cosa stuzzicasse il suo intelletto. La maggioranza dei mondi era disabitata, con condizioni troppo estreme affinché la vita potesse sorgere, ma in altre vi erano forme di vita così bizzarre che solo per narrare le loro peculiarità aveva consumato centinaia e centinaia di fogli di pergamena per appuntarsi tutte le bislaccherie e le particolarità che lo avevano intrigato. Mondi abitati da creature dove non vi erano distinzioni di sesso e si riproducevano per mitosi, altri mondi interamente popolati da piante ed esseri vegetali, dove le muffe e i funghi la facevano da padrone assorbendo le energie di esseri fatti di piante, attaccandosi alle loro schiene tramite profonde radici che trivellavano i loro muscoli fino ad affossare nei loro corpi e dirigendo i loro movimenti tirando i nervi come se fossero fili di marionette, o altri mondi ancora dove gli esseri erano costantemente costretti a muoversi e spostarsi dalla posizione di partenza, o saltare per rimanere in movimento, altrimenti sarebbero stramazzati sul colpo e sarebbero stati inglobati dalla terra, dove il sonno e il riposo erano sinonimo di morte.

Dopo aver trascorso la sua rotazione a svolgere i propri doveri, si ritirava nella sua sezione, appositamente assegnatagli da Nehor e si sedeva davanti al suo mappascopio a osservare questo o quel mondo. Sceglieva delle coordinate a caso e se riusciva a visionare un luogo non disperso nel vuoto, appuntava tutto ciò che gli saltava all’occhio, che fossero modi di vivere, oppure una popolazione particolare o semplicemente qualcosa che lo faceva ridere, non aveva importanza. Il mappascopio era una gigantesca sfera blu oltremare, incastrata al centro perfetto di una piattaforma di legno massello, tenuta sospesa grazie alla magia sfuggente, i cui venti vorticavano ai quattro angoli, legata al centro con piccole decorazioni dorate che raffiguravano delle farfalle che svolazzando, rilasciavano delle spore adesive. Per osservare ciò che si voleva, bisognava puntare la sfera verso la posizione desiderata e al suo interno apparivano delle immagini del luogo di destinazione. Era necessario utilizzare delle coordinate estremamente precise, altrimenti si rischiava di appannare la vista e non trovare niente. In effetti l’osservazione dei mondi si trattava più di fortuna che di un’accurata ricerca vera e propria.

Come tutte le esplorazioni d’altronde.

Negli ultimi tempi, da poco meno di un terzo di mezzo ciclo, la sua attenzione era rivolta costantemente in un mondo brulicante di strani esseri dai tratti animaleschi chiamati “umani” e altri che avevano quegli stessi tratti, seppure eccezionalmente sviluppati, a cui si univa l’aggiunta di code, chiamati “bake”. Non riusciva a comprendere appieno quali fossero i loro scopi, ma sembrava che ognuno di loro si affannasse per qualcosa. A volte erano gentili gli uni con gli altri, altre volte invece si facevano la guerra. L’unica certezza era che gli umani e i bake erano sempre ostili tra loro. Se non fosse che erano di una debolezza ridicola e dovevano forgiare delle armi apposite per uccidersi, avrebbe considerato le loro specie le più simili ai primordiali.

Tuttavia non erano solo quegli stravaganti abitanti a solleticare il suo interesse, persino l’ambiente circostante, la formazione e il funzionamento di quel mondo celavano un qualcosa di misterioso e così funzionale che riteneva un vero e puro miracolo che quel sistema così precario e al tempo stesso stabile si reggesse in piedi. Nessuna di quelle creature era in grado di utilizzare la magia, per sopravvivere erano costretti a fare affidamento su un sole solo e poiché nessuno di loro era in grado di usare le magie dei rischiaratori per fare luce, quando sorgeva la luna erano costretti a dipendere dal fuoco. Fu eccezionalmente entusiasta nello scoprire che erano in grado di evocare il fuoco senza usare la magia, ma semplicemente sfruttando le pietre, il legno, o le resine. Era incredibile vedere i progressi che quelle creature così deboli fossero in grado di fare, nonostante la loro debolezza e la mancanza di qualsivoglia potere magico. Anzi, riteneva quelle creature straordinariamente interessanti proprio in virtù di come superavano i loro ostacoli a dispetto di tali fragilità.

Prese una pergamena su cui brillava dell’inchiostro azzurro lucente, che indicava le coordinate. Annuì e le memorizzò al momento, prese il tavolino e cominciò a spostarlo poco più avanti e poco più in basso, ripetendo tra sé e sé i numeri facenti parte delle coordinate a ogni disposizione.

Non aveva fatto in tempo a mettere a posto il mappascopio, che le porte della sua stanza furono spalancate da un vento fortissimo, che gettò all’aria le sue pergamene e rigettò alla rinfusa tutti gli oggetti nella stanza.

«Zio Gahone! Sei in sezione?» domandò un’allegra voce femminile.

Sorrise mentre teneva fermo il mappascopio per evitare che volasse via con tutti gli oggetti, sebbene parte della sua stessa essenza fu dispersa e gli andò a finire negli occhi.

«Tadewi, qual buon vento ti porta qui?» la salutò affettuosamente, voltandosi a fatica verso di lei, togliendosi dagli occhi la sua essenza polverosa verde che la primordiale aveva avuto cura di soffiargli addosso per infastidirlo «Però, la prossima volta, non è che potresti bussare? Così almeno so che devo mettere un fermacarte prima di aprire...»

Tadewi osservò la stanza messa a soqquadro e rimase stranita «Perché? Così è molto più bella!» esclamò allegramente «Però il fermacarte tienilo lo stesso! Così la prossima volta lo posso buttare giù!»

Gahone scosse la testa divertito e tornò a trafficare per sistemare il mappascopio.

Non passò neanche un istante che nell’aria si udì un rimbombo, che avrebbe assordato chiunque, battere violentemente sul portale, come un tuono che si scagliava su una roccia, che fece sobbalzare i due quasi fino al soffitto, il quale cambiava colore costantemente e aveva l’aspetto di una superficie gelatinosa come dei fogli increspati posti su una superficie d’acqua. Seguirono tre detonazioni che batterono sulla porta «Zio Gahone? Posso entrare?» riecheggiò un vocione virile, profondo e intenso, che fece tremare le vetrate di pietre preziose luminose che resistevano persino ai terremoti provocati dal passo pesante di Margatocal.

Gahone fece cenno di avvicinarsi «Vieni pure Gehult, prendi posto qui...»

Gehult diede una gomitata scherzosa a Tadewi e le bisbigliò «Ecco, hai visto come si fa, tontolona?»

Tadewi sferzò del vento in faccia a suo fratello e fece una smorfia sfrontata «Gnè gnè gnè... Il solito perfettino...»

«Su, su... dai ragazzi, non litigate! Altrimenti mi farete saltare in aria la sezione e mi farete diventare un senzatetto!»

Tadewi mise il broncio e indicò suo fratello «Ma è stato lui a cominciare!»

Gahone si avvicinò e bisbigliò con calma «E che diciamo a Nehor, se la sezione che mi ha affidato, salta per aria?»

Tadewi s’irrigidì e lo stesso fece Gehult, come se avessero subito delle scosse elettriche dietro le loro schiene. «Staremo buoni!» esclamò la primordiale del vento e il fratello annuì di scatto.

Gahone fece un cenno d’intesa e riprese a sistemare il mappascopio nella direzione di quel mondo.

Gehult tuonò con il suo vocione «Serve una mano, zio?»

«Sei molto gentile, ma ho quasi fatto...» rispose lui.

Tadewi saltellò sul posto «Uh uh! Dove andrai questa volta?» e a ogni balzo sollevò dei lievi venti che spostarono di poco le pergamene nella stanza, oltre a soffiarne alcuni in faccia in maniera fastidiosa addosso al fratello, che le tirò uno schiaffone il cui urto scatenò un lampo che le esplose in faccia e l’accecò. I due fratelli accorsero l’uno contro l’altro e ripresero ad azzuffarsi, facendo scuotere le pareti di casa e facendo scoppiare i timpani di Gahone per il fracasso che stavano scatenando.

«Ragazzi...» li richiamò Gahone non distogliendo lo sguardo dal tavolo. Tadewi e Gehult si ritirarono nelle pareti opposte con aria innocente. Lei soffiò verso il viso di Gehult e lui le scoccò un’occhiataccia.

Lo zio esaminò per bene la sfera blu e rispose distrattamente «Quest’oggi, mia cara, andremo su... Nesia...»

Tadewi sbuffò e fece volare via alcune parti dell’essenza bianca dello zio con il suo vento «Ancora? Ma questa è la sesta volta che vai lì! Perché non andiamo a vedere qualcosa di nuovo?»

«Un nuovo mondo? Ah ah ah...» ribatté giocosamente Gahone, poi scosse la testa «Mi piace quel mondo. Non so... ha quel certo non so che, che mi ricorda il nostro...»

All’interno della sfera del mappascopio cominciarono ad apparire delle fugaci immagini che si facevano largo come dell’acqua crespa dopo una goccia caduta sulla piana superficie di un lago.

Comparve una radura rocciosa, scura come l’ombra di una caverna, il sole illuminava quell’immenso altopiano brullo. Due figure camminavano guardinghe su quel solido terreno pietroso. Avevano entrambe la carnagione ramato-ambrata, una di loro aveva dei lunghi capelli neri, avvolti in una treccia legata in vari punti da graziosi cerchi di stoffa azzurra, indossava vesti leggere di seta, una vaporosa camicetta bianca dalla larghe maniche, che lasciava scoperto il tronco e un paio di pantaloni blu cobalto che si rigonfiavano sulle ginocchia e si restringevano alle caviglie, con degli strani calzari dorati che si arricciavano verso l’alto sulla punta. Alle braccia portava dei sottili bracciali di corda rossa, mentre la caviglia destra era adornata da una cavigliera d’argento con una piccola stella tintinnante di bronzo bianco. Al suo fianco l’accompagnava una figura più alta e atletica, dai corti capelli a caschetto bianchi, portava delle fasce di stoffa gialla dagli spessi bordi rossi, al cui centro vi erano cucite delle decorazioni di serpenti azzurri che strisciavano, che coprivano la parte superiore del petto, in vita indossava una stretta cintura di corde rosse, lievemente inclinata in diagonale che teneva su una fascia di stoffa gialla dai bordi rossi che scendeva fino alla caviglia e copriva la parte interna delle gambe e ai piedi calzava dei leggeri calzari di cuoio che si allacciavano all’altezza della coscia.

A giudicare dall’aspetto avrebbe scommesso che si trattasse di umane e imbracciavano delle strane armi ricurve d’acciaio che aveva sentito qualche volta essere chiamate scimitarre.

Gahone sorrise a quelle due figure Sono stato fortunato...

Le aveva già osservate altre volte, in cuor suo sperava sempre di trovare quella figura dai lunghi capelli, ogniqualvolta dirigeva il mappascopio su Nesia.

«Uh, siamo fortunati... guardate ragazzi!» richiamò la loro attenzione Gahone.

Tadewi e Gehult si sporsero per osservare meglio. Tadewi fissò le immagini a bocca spalancata «Che strane creature! Ma come contengono i flussi energetici?»

Gehult al contrario era più accigliato e diffidente «Ugh! E che sono quelle due cose che sporgono come tentacoli? Fanno ribrezzo...»

Gahone rise «Ah ah ah... quelle sono le loro braccia...»

Gehult fece una smorfia ancor più sdegnata «Quelle... sono le braccia?! Ma sono così corte e deboli! Persino una schiappa come Tadewi potrebbe soffiarle via con uno starnuto!»

Tadewi protestò indignata «Ehi! Io non sono una schiappa!» e soffiò del vento in faccia a Gehult.

«Schiappa, schiappa, schiappa!» imprecò l’elementale e poi fece esplodere delle scintille in faccia alla primordiale del vento.

Gahone sospirò «Bambini! Piantatela!» e divise i due.

Tadewi protestò «Ha cominciato lui! Ha detto che sono una schiappa!»

Gehult fece una linguaccia con tanto di pernacchia rumorosa che scaraventò un lampo alle sue spalle.

«Gehult! Devo chiamare vostra madre?» lo richiamò aspramente Gahone.

Gehult trasalì e scosse la testa «No, starò buono...»

I tre tornarono a osservare la sfera e Tadewi reclinò il capo «Ma che petti sporgenti che hanno! A che gli servono quelle cose flaccide sotto alla faccia?» e fece aumentare i venti all’altezza del suo petto, per emulare quello delle due donne «Guarda quella alta! Sembra che ne abbia un paio grandi quanto la sua faccia da cavallo! È scandaloso!»

Gahone annuì «È vero... però a me non dispiacciono...»

Gehult assottigliò gli occhi «Ma che stanno facendo?»

Gahone scosse la testa «Non saprei... Sembra che stiano cercando qualcosa... forse cibo...»

«Tsk... vorresti dire che cacciano come noi? Non diciamo assurdità!» sentenziò divertito il primordiale del tuono.

«Mio Gahone!» lo chiamò una suadente voce alle sue spalle «Sono tornata! Non vieni ad accogliermi festosamente?»

Al solo sentire la voce, Tadewi e Gehult sussultarono, si misero ai lati della parete della sezione e si ammutolirono, diminuendo anche i loro flussi, cercando di rimpicciolirsi per nascondersi alla vista. Gahone si voltò e non appena vide la primordiale, le rivolse un largo sorriso «Nehor, bentornata alla sezione! Sono felice di rivederti!»

«Spero che le mie emanazioni non ti stiano infastidendo...» seguì lei con calma, scoccando un’occhiata severa a Tadewi e Gehult, mentre si avvicinava sinuosamente a lui.

Tadewi mise il broncio «Non lo stavamo disturbando!»

Gahone scosse la testa «No, no, tutt’altro! È sempre un piacere averli qui!» e ammiccò complice ai due giovani elementali.

Gli occhi rossi di Nehor scrutarono con diffidenza l’immagine alle spalle «Anche oggi stai osservando dal mappascopio che ti ho regalato...» grugnì con una certa irritazione «E stai di nuovo osservando quello strano mondo...» emise uno strano suono soffocato di contrarietà «E quelle due creature... di nuovo...» puntualizzò con disappunto.

Gahone fece un cenno col capo Ah... speravo che non mi vedesse... mi sa che sono stato pizzicato... «Sì, ancora ti ringrazio per il mappascopio, è davvero grandioso! Sto scoprendo tantissime cose degli altri mondi ed è tutto grazie a te...»

Nehor sollevò il viso soddisfatta «Ma di nulla, mio caro. Come ben sai, mi piace viziare coloro per cui provo interesse...»

Uff... meno male... tirò un sospiro di sollievo, mentre vide alle spalle di Nehor la risatina furbetta e sognante di Tadewi e la faccia disgustata di Gehult. Nehor poi si erse sussiegosa e lo richiamò con voce autoritaria «In ogni caso, adesso spegnilo, che abbiamo ospiti...»

Gahone si accigliò incerto «Davvero? Ma non aspettavo nessuno...» e si grattò il capo.

Nehor sorrise tutta soddisfatta «Lo so! Infatti avevo pensato di passarti a trovare e d’un tratto, così, dal nulla, ho deciso di organizzare una bella festicciola nella tua sezione!»

Ah... e io che speravo di trascorrere una serata tranquilla... Fece un sorriso sornione forzato «Hai avuto una splendida idea, Nehor...»

«Mia Nehor...» puntualizzò la primordiale «Non capisco perché non usi il titolo appropriato, mio Gahone...»

Gahone fece spallucce un po’ imbarazzato «Ah... beh... ecco... non voglio risultare irrispettoso... insomma, mi hai dato una sezione, mi vizi più delle tue emanazioni...» Non ho alcuna intenzione di farlo...

Nehor sbuffò «Umpf... Sciocchezze! Sei il mio più fidato collaboratore e grazie a te mi hai reso la Primordiale Suprema del nostro territorio, è il minimo...»

Tadewi sbuffò e piagnucolò «Mamma, dobbiamo proprio spegnerlo? Zio Gahone ci stava mostrando quelle strane creature di Nesia!»

Nehor scoccò un’occhiata inquisitoria a Tadewi, ma prima che potesse rispondere, Gehult aggiunse «Sì, madre... è semplicemente una visione a scopo didattico...»

Nehor incrociò le braccia, ma d’improvviso alle sue spalle si sentì un vocione rumoroso «Uh! Cos’è quello?» indicando le due donne a caccia e d’improvviso si sentì una gigantesca vampata di luce e calore illuminare l’ingresso, che fece prendere fuoco alla porta «Ops... scusate...» e cominciò a soffiare sulle fiamme per cercare di spegnerle.

Tadewi saltellò contenta «Naar! Guarda qui! Zio Gahone ha detto che sono delle umane! Ti rendi conto?» e lo afferrò per il braccio, soffiando sulle fiamme per spegnerle, o almeno quella era la sua intenzione. Invece il suo vento le alimentò e diede fuoco ad alcune pergamene, tra cui quelle in cui aveva segnato degli appunti sugli altri mondi e le coordinate. Ma Tadewi non ci badò e trascinò Naar davanti al mappascopio, lasciando che l’incendio si propagasse allegramente per l’intera sezione. L’elementale del fuoco fece un cenno rispettoso «Signora Nehor, signor Gahone...»

«Ciao Naar...» salutò distrattamente Gahone, che accorse a spegnere le fiamme, mentre Nehor salutò con un semplice cenno del capo.

«Ehi ehi! Questo sì che è un caldo benvenuto!» esclamò sarcastica una voce fredda all’ingresso.

Gahone che stava raccogliendo le pergamene bruciacchiate, salutò non curante «Ah... Ma guarda chi si vede! Ryodal! Il re delle freddure!»

«Mi avete chiamato ed eccomi, sono un maestro nel rompere il ghiaccio...» ribatté con lo stesso tono freddo di prima, mentre soffiò del vento gelido sulle fiamme per spegnerle.

Gahone fece un cenno per ringraziare «Non so cosa avrei fatto senza di te...» poi fece ondeggiare le pergamene che erano diventate umide.

Ah... mi sa che sono tutte da buttare... pensò con estremo sconforto.

Ryodal lo avvolse con il tuo flusso gelido sulla spalla, sentendo il gelido tocco che cercò di consolarlo della perdita «Ah... Raffredda il tuo animo, mio buon amico!» poi osservò il mappascopio «Uh! Ma quello è...?»

«È già...» rispose Gahone.

«Posso dare un’occhiata?» domandò l’elementale entusiasta.

«Accomodati pure...» lo invitò Gahone. Ryodal non se lo fece ripetere due volte.

Gehult lo andò a salutare e tuonò «Ma tu guarda... mancava dello spirito di patata in questa casa» e strinse la mano di Ryodal.

«Mi spiace, ma quello l’ho lasciato in sezione, ho portato solo il ghiaccio...» ribatté Ryodal con un sorriso gelido, rispondendo al saluto.

«È permesso?» si annunciò una voce cristallina.

«Signorina Sirafi, ma che piacere! Venga, venga, entri pure. Ci illumini con la sua presenza!» la salutò Gahone allegramente.

La primordiale dalla sottile corporatura sinuosa mise una mano che sembrava porcellana davanti alla bocca «Ah ah ah... Gahone... sei sempre il solito mattacchione...»

«Non a caso l’ho scelto apposta questo nome...» replicò cordiale.

Gehult andò all’ingresso della sezione «Sai con cos’altro fa rima il tuo nome?» e sghignazzò rumorosamente.

Gahone fece una smorfia divertita «No. E non voglio saperlo...»

«Salve a tutti...» salutò con voce umbratile la primordiale.

«Signorina Sirafi! È splendido ritrovarla qui!» rimbombò Gehult sommergendo le altre voci con la propria.

Uhm... questa me la devo segnare... in caso dovessi trovare qualche altro rischiaratore...

Sirafi ridacchiò «Ah ah ah... Per me è un piacere essere qui, sei sempre molto premuroso Gehult...»

Gahone richiamò l’attenzione «Su su... basta con queste cerimonie, non rimanete sull’uscio, entrate pure, non fate complimenti...»

Ryodal esclamò «Sì, infatti! Anche perché Gahone mi deve mostrare questa meraviglia...» e indicò il mappascopio.

Quando tutti si radunarono attorno al mappascopio, Ryodal chiese «Allora che stavate osservando?»

Gahone ringalluzzito vide le due donne che sembravano essersi fermate e avevano tirato fuori una bisaccia con delle strisce di carne rossastro-marroncine dal lieve sottotono rosato e stavano cominciando a mangiarle avidamente.

Ma prima che potesse procedere con la spiegazione, ci fu un violento scossone che fece vibrare il mappascopio e lo fece cadere, distorcendo l’immagine e cancellandola dal vuoto.

Per Nehor... vorrei sapere se riuscirò a vedere una mezza immagine stasera...

Nehor esclamò gioviale «Oh... ma che peccato...»

Tadewi inveì «Zio Gahone! Forza, rimettila a posto! Che volevo far vedere a Naar quelle strane creature con le bombe gigantesche sul petto!»

Gahone fece una smorfia contrariata «Un attimo...» e tornò alla porta. Quando l’aprì, vide il gigantesco corpo serpentino di Margatocal dalle lunghe squame arancioni e i picchi che spuntavano come spuntoni sulla schiena, accompagnato dalla gigantesca massa gelatinosa ricoperta di tentacoli dagli occhi rossi di Ot’Mo.

«Margatocal! Persino tu qui? È sceso il lupo dalla montagna! E tu Ot’Mo! Ne è passata di acqua sotto i ponti l’ultima volta che ti ho visto!» li accolse calorosamente.

«Scusate il ritardo... È che questo citrullo... si è appisolato per strada... mentre venivamo qui...» rispose Ot’Mo con il fiatone e scoccò un’occhiataccia rabbiosa al primordiale della terra.

«E che colpa ne ho io, se la terra è così comoda? E poi tu che ci stai a fare?» protestò sonnacchioso Margatocal.

Solo allora Gahone aveva notato che quattro tentacoli viscidi come le code di un’anguilla, tenevano stretta la coda di Margatocal e notò un mastodontico solco che dalla via laterale giungeva fino alla sua sezione, seguendo la scia del corpaccione del primordiale della terra.

Ot’Mo protestò «Sei proprio... sei solo uno sfruttatore, razza di serpente pigrone! Non credere... che io ci sia... per sempre!» tirò il fiato e si riprese «Quando un giorno andrò via di qui, sarò un primordiale supremo rispettato e temuto e avrò uno stuolo di servitori a soddisfare ogni mio più piccolo capriccio!»

Gahone ridacchiò «Ah ah ah! Io te lo auguro! Anche perché se passerai l’esistenza a trascinare questo pigrone, ti attenderà una vita grama!» poi fece cenno d’invito «Su, dai, entrate pure... e per te Margatocal... c’è un bello spiazzo comodo che ti attende...»

«Sul serio? Oh, meno male!» esclamò sollevato «Lo sai che se non dormo abbastanza mi viene l’ansia... pensa a volte ho l’ansia per quando devo dormire!»

Gahone annuì e fece entrare i due primordiali. Tadewi gonfiò il viso irritata «Uffa, Marghy! Sei sempre il solito combinaguai! Guarda che hai combinato!»

Margatocal ignorò bellamente la primordiale del vento e si trovò uno spazietto vicino Nehor e si acciambellò comodamente mettendo la coda sotto il mento come un cuscino.

Gahone riprese il mappascopio e Gehult ripeté «Serve una mano, zio?»

Il primordiale scosse la testa «No, stai tranquillo...» mentre sistemava il tavolino nella giusta posizione.

Tadewi sbuffò impaziente e fece volare via altre carte e anche il tavolo stesso, che Gahone dovette trattenere per evitare che volasse via «Su, forza, zio! Muoviti che devo mostrare a Naar quelle strane creature!»

Naar annuì «Sì, signor Gahone! Vogliamo vedere le creature strane!» rincarò la dose il primordiale del fuoco.

Gahone fece una smorfia contrariata «Un momento, ragazzi... ci siamo quasi... Ecco fatto!»

Poco dopo ricomparvero le immagini e per fortuna le due donne erano ancora sedute su una roccia a mangiare quella strana carne che aveva un aspetto delizioso.

Naar spalancò la bocca «Ah ah ah! Ma quanto sono strane! Avevi ragione!»

Tadewi ridacchiò malevola «Hai visto? Non sono neanche simmetriche! Sembrano delle bamboline di gomma!»

Ryodal scosse la testa «Andiamo ragazzi, non siate così crudeli! Io le trovo carine...»

Sirafi arricciò il naso «Ma sono così piccole e così sgraziate! E guarda com’è brutto quel mondo! Un cielo azzurro? Ma dico io! Certo che ce ne sono di stranezze in giro!»

Gehult sghignazzò «E guarda quelle rocce! Nere! Sembrano la pelle di Wuguang!»

Sirafi annuì «Queste creature non hanno proprio il senso dell’estetica, colori sparati proprio a caso!»

Ot’Mo concordò «È proprio vero! Avrebbero proprio bisogno di un esperto armocromista! E non solo i colori sono strani! Ma pure quelle cose... insomma quei due tentacoli sembrano così flaccidi e inutili... bleah...» fece una smorfia di disgusto «E quelle salsiccette che fuoriescono da quei due tentacoli. Ugh...»

Margatocal sollevò una lieve occhiatina e poi tornò a dormire «Uhm... però quelle rocce sembrano proprio comode... sembrano quasi come se vivessero tra i cuscini...»

Tuttavia Gahone non stava ascoltando nessuno di quei concitati commenti. Sembravano tutti contenti di partecipare a quella visione con sentenze e battute, come se stessero assistendo a uno spettacolo. Provava persino una certa soddisfazione nel vederli così presi da un suo interesse e soprattutto che li avesse uniti così strettamente. Sebbene fossero i guerrieri di Nehor, era stato lui a unirli sotto un’unica bandiera.

D’altronde era l’elementale della sintropia e il legame era la maniera in cui essa si manifesta tra gli esseri viventi. Quindi era praticamente la manifestazione fisica della sua ragione di esistere e non vi era onore e senso di completezza maggiore di quello.

Tuttavia la sua mente era concentrata sulle due donne nel mappascopio. Trovò al tempo stesso intrigante e irritante che non riuscisse a capire neanche una parola di ciò che si stavano dicendo. Per qualche ragione a lui sconosciuta, avrebbe voluto far parte di quella conversazione, che in realtà non avrebbe neanche dovuto assistere. Le vedeva parlare seriamente, le vedeva ridere, le vedeva guardarsi attorno. Sorrise con dolcezza, avrebbe voluto andarci a parlare, chiedere qualunque cosa e partecipare a quella conversazione. Domandare loro cosa stessero facendo, o semplicemente chiedere i loro nomi. Quella donna dalla lunga treccia gli appariva così interessante…

È in gamba...

Nehor visionava quelle immagini con estrema indifferenza «Non capisco proprio cosa ci troviate di così interessante in quelle... cose...» borbottò indignata. Poi osservò Gahone e notò la sua distrazione, la sua aria smarrita persa tra i suoi pensieri, il suo focalizzarsi agli occhi di quell’infima creatura. Tornò a guardare le immagini e poi nuovamente Gahone. Il suo sguardo si fece sospettoso, corrugò la fronte informe.

D’improvviso fece un sadico sorriso e ridacchiò melliflua «Mio Gahone, ma come sei pensieroso!» Tornò a rivolgersi alle immagini e pose una gigantesca mano in avanti:

Il tuo suono, diverrà il mio

La tua mente, s’intreccerà alla mia

Comprenderò la tua anima,

quando il suono della tua voce mi guiderà a essa.

Dai suoi occhi si levò un’essenza rossa che solleticò la mano e scivolò nell’aria, penetrando sinuosamente all’interno del mappascopio. Tutti osservarono ammirati quel flusso rosso che attraversò la stanza. D’un tratto la donna dalla lunga treccia si mise una mano al collo, boccheggiò, il suo viso divenne paonazzo e gli occhi strabuzzarono, come se esplodessero. Sentì l’aria mancare e cominciò a tossire e ansimare. Provò a parlare, ma non le uscì la voce. Si piegò in avanti e si tenne lo stomaco. La sua amica cominciò ad agitarsi e a dire delle parole che non comprendeva. Chiamava il suo nome probabilmente, cercò di scuoterla per le spalle, urlava parole incomprensibili come se servisse a fermare il dolore.

Gli elementali spettatori al contrario, cominciarono a esultare. «Oh! Adesso sì che le cose si fanno interessanti!» esclamò Tadewi e Naar annuì concitato.

Gahone al contrario, non gradì minimamente quel gesto «Nehor! Che stai facendo? Smettila subito! Non vedi che la stai facendo star male? E se la uccidessi?»

Nehor rise estremamente divertita da quel sadico spettacolino «Oh oh oh! Ma che sciocchino che sei, mio Gahone! Non voglio mica farle del male. Volevo solo darti un altro regalino...»

Sollevò la mano all’indietro e l’essenza rossa fluì in senso contrario, tornando dal mappascopio alla sezione, avvolgendosi attorno alle mani di Nehor, fino a creare un sanguigno agglomerato pulsante. Dopodiché la primordiale soffiò delicatamente quell’essenza davanti al viso di Gahone. Percepì un calore avvolgerlo dolcemente, l’allegria di una risata genuina, la freddezza dell’indignazione proveniente dal senso di giustizia, la pesantezza della tristezza, la leggerezza delle chiacchiere con un amico, la serietà di un discorso ideale.

Gahone respirò quell’essenza e s’inebriò di tutte quelle sensazioni che gli provocava.

«Antar! Antar, stai bene?» udì di repente da una voce profonda nel mappascopio.

Sentì nuovamente ansimare, la donna dalla lunga treccia annuì «Sì... sembra che mi sia passato...» rispose con il fiatone. La donna alta dai capelli bianchi parve ancora diffidente e dopo aver sguainato quello strano artiglio chiamato scimitarra, cominciò a scrutare e rovistare i paraggi alla ricerca di qualcosa.

Antar fece un dolce sorriso «Selora, stai tranquilla, non c’è nessuno qua attorno...»

«Non ne sarei così sicura...» ribatté lei in tono deciso «Siamo vicini alle montagne dei pazzi di Caar Reln... Non è di certo una coincidenza...»

Riesco a capire cosa si dicono! sgranò gli occhi e osservò Nehor.

La primordiale scosse la testa con aria di rimprovero «Pensi sempre male! Hai visto come ti vizio, mio Gahone? Ora puoi goderti appieno la scena, grazie a me!» e annuì decisa per sottolineare il punto.

Tadewi saltellò concitata «Uh, che bello! Così puoi dirci che si stanno dicendo!»

Naar scosse la testa «Pazzesco! Come se avessero una lingua come noi! Che strani animali, questi umani!»

Gahone fece un cenno col capo «Come sempre, hai ragione Nehor... mi hai fatto un regalo davvero splendido...» Ma... perché? Osservò con la coda dell’occhio Antar e Selora che avevano ripreso il loro cammino.

Dopo alcuni minuti trascorsi senza particolari eventi, l’interesse del gruppo andò scemando e d’un tratto si sentì la voce umbratile di Wuguang «Uff... che noia! Queste creature sono proprio insignificanti! Non ci sono dei mostri più interessanti da vedere? Che so, draghi... o elementali superiori?»

Gahone trasalì nel vederla proprio alla sua destra «Wuguang! Quando sei arrivata?»

Wuguang si accigliò «Come, quando sono arrivata? Sono venuta con Sirafi e Ryodal! Mi hai invitata tu a entrare! Vi ho anche salutato e non mi avete risposto...»

Non l’ho proprio vista... Ma sorrise conciliante «Ah... scusa... lo sai che sono distratto...» poi riprese «In ogni caso, sì, ci sono altre creature... ci sono mezzi umani con tratti da animali più accentuati che vengono chiamati bake e altre strane creature...»

Wuguang si erse allegra «Uh... possiamo vederle?»

Gahone annuì «Sì, certo... solo che...»

Nehor lo fermò con un cenno «Sapete che cosa ha partorito la mia mente? Un’ottima ottima idea, come al solito!» si schiarì la gola e si erse carica di sussiego «È palese che mostrate così tanto interesse per questo mondo, perché allora non visitarlo di persona al posto di limitarci a osservarlo da lontano?»

Gahone sgranò gli occhi incredulo «D-Davvero...? Faresti questo per... me?»

Nehor gli accarezzò il viso «Ma certo, mio Gahone. Ti voglio solo vedere contento.»

Naar espresse immediatamente il suo entusiasmo «Uh! Ha proprio ragione! È proprio un’ottima idea, signora Nehor! Così possiamo vedere da vicino quelle strane creature!» e Tadewi si accodò «Voglio venire anch’io! Voglio venire anch’io!»

Anche la signorina Sirafi acconsentì «Oh, sì! Così per lo meno potremo mettere le cose a posto in quel pazzo mondo disorganizzato!»

Gehult annuì «Uhm... in effetti è da un po’ che non esploriamo nuovi mondi. Io vorrei vedere anche altre parti di quel mondo. Questo che abbiamo visto qua non mi è sembrato niente di che... Ma magari c’è di meglio. E se poi non c’è... possiamo pur sempre farlo saltare per aria, no?» ghignò malevolo.

Wuguang annuì «Assolutamente d’accordo! Voglio vedere di persona gli animali, i mostriciattoli e questi bake di cui mi parlavate, magari li aggiungo al mio serraglio personale...»

Ryodal ridacchiò ebete «Eh! Che dici, Gahone? Andiamo a conoscere quelle due belle signorine?»

Ot’Mo pensò sognante «Uhm... chissà se ci sono degli esseri carini in quel mondo... magari quegli umani potrebbero essere assoggettati facilmente e farmi da schiavi... E obbedire a tutte le mie leggi bislacche, solo per soddisfare i miei capricci! Oh oh oh!»

Margatocal grugnì «Se c’è un bel posto tranquillo, allora ci sto...»

Gahone rimase sbigottito e ammirò nuovamente Antar e Selora nel mappascopio. Gli venne da sorridere all’idea. Forse avrebbe potuto finalmente conoscere quelle due strane, ma intriganti figure, proprio come aveva sempre idealizzato nei suoi scenari immaginari «Dici sul serio, Nehor? Saresti in grado di portarci lì? Per il mio manto spezzato... mi piacerebbe molto viaggiare per i mondi, lo sai... Sarebbe il mio sogno...»

Nehor allargò il suo sorriso «Mio Gahone, dimentichi che io posso tutto, anche ciò che per gli altri è impossibile! Consideralo un mio regalo per ringraziarti per l’aiuto. Se sono diventata il Primordiale Supremo anche di questo mondo, è anche merito tuo. Quindi, è anche giusto che assecondi un paio dei tuoi desideri, no? D’altronde, sono, o non sono la primordiale dell’entropia e nella mente degli esseri viventi senzienti, essa si manifesta tramite il desiderio. E tutto ciò che desidera il mio Gahone, diventerà realtà, finché rimarrai mio!»

Gahone fece una lieve riverenza «Grazie, Nehor... Mi piacerebbe davvero esplorare Nesia...» poi fece una smorfia amara «Ma non abbiamo dei doveri da compiere?»

Nehor rise sguaiatamente «Oh oh oh! Non curarti dei nostri doveri! Lascerò che qualcun altro ti copra e li compia al posto tuo. Se lo desideri, potrai partire anche subito... Noi... ti raggiungeremo tra qualche caduta di mezzospicchio! Non ti farebbe piacere?» poi sollevò un dito per richiamare l’attenzione «Ma ricorda! Dovrai effettuare la richiesta come tutti!»

Tadewi protestò «Non è giusto! Voglio partire anche io con zio Gahone!»

Gahone fece un cenno all’elementale del vento «Su, su... Partiremo tutti insieme, non c’è bisogno di...»

Ma Nehor lo scrutò accigliata «No! È un regalo che ho riservato al mio Gahone! Tu stanne fuori, figlia mia!» poi reclinò il capo con dolcezza verso Gahone «D’altronde non riuscirei a reggere le reazioni. Forse riuscirei a portare un paio di voi. Perciò non sarebbe meglio che ti goda questa misera frazione di tempo da solo?» e lanciò un’occhiata furba agli altri elementali che gli avevano invaso la sua sezione.

Gahone ripensò alla caciara che avevano scatenato nella sua abitazione. In effetti... se dovessimo andare su Nesia tutti insieme, potremmo letteralmente scatenare il terrore tra gli umani e i bake... Osservò le due donne nel mappascopio che non avevano cessato il cammino neanche per un solo istante.

Gahone annuì con maggiore decisione «Va bene. Nehor, vorrei che mi inviassi su Nesia!»

Nehor sorrise benevola e annuì «Ma certamente, mio Gahone. Acconsentirò alla tua richiesta» e stava per schioccare le dita, ma Gahone la fermò subito «Aspetta!»

Nehor reclinò il capo accigliata.

«Prima di procedere... Non sarebbe meglio se mi dessi un corpo più familiare al loro? Se dovessero vedermi così... forse gli umani... potrebbero provare terrore...» spiegò Gahone.

La primordiale annuì «Hai ragione... e allora...» schioccò le dita:

Un vaso per fiori,

non accoglie le piante selvatiche,

Così l’anima pura

richiede un forte corpo.

L’essenza di Gahone fu raccolta e agglomerata in uno striminzito spazio delimitato, a poco a poco si formarono gli organi uno a uno, sentì i suoi pensieri appesantirsi e aumentare di consistenza, il suo corpo si restrinse e si divise in quattro tronconi, smise di fluttuare nel vuoto e due lunghe gambe comparvero e lo ancorarono al terreno, folti capelli crebbero sulla sua testa, così come una barba, braccia muscolose e gambe possenti presero colore in una carnagione chiara e così come spuntò una protuberanza in mezzo alle gambe.

Quando aprì gli occhi, tutti gli altri gli sembrarono colossali. Provò una serie di sensazioni di cui aveva già avuto assaggio, ma in quel momento erano accentuate a dismisura. Il freddo più pungente si mischiava al calore più torrido, sentiva una maggiore forza nelle sue gambe e braccia, così come percepiva la sua mente più acuta, il senso del pericolo più sviluppato e sentì persino dei brividi di piacere percorrergli sul basso ventre e dietro la schiena. Si guardò da capo a piedi e si ammirò compiaciuto.

Non sapeva come definire quella sensazione, era come se tutto avesse maggiore intensità, tutto fosse nuovo e pregno di energia, in ogni cosa scorresse il flusso della vita.

Aprì e chiuse la mano, mosse i piedi, si diede un’occhiata al petto e notò che era molto più piatto rispetto a quello delle due donne.

«Questo corpo... è diverso dal loro...» notò con un misto di stupore e compiacimento.

Nehor annuì gravemente «È ovvio. Ti ho fatto più bello di quelle infime creature! Ricordati che sei il mio Gahone, sei il mio rappresentante.»

La sua voce aveva un tono più gutturale e minaccioso ora che la udiva con un corpo da umano.

Gahone sorrise e annuì «Mi piace! È un bel corpo.»

Tadewi osservò quel corpo con maggiore curiosità e non riuscì a distogliere lo sguardo «In effetti il tuo è molto più interessante rispetto a quello di quelle umane...» attirandosi un’occhiata gelosa di Naar.

Nehor schioccò di nuovo le dita «Ma prima di partire, ti vieto di farti vedere in queste condizioni. Sei indecente! Indossa questi.»

Sulle sue gigantesche mani comparvero una tunica bianca lucente di stoffa, un paio di guanti lunghi che coprivano fino all’avambraccio, una cintura di corda nera e un paio di pantaloni stretti dello stesso materiale della tunica. Li porse a Gahone per farglieli indossare subito e infine Nehor pose nuovamente le mani in segno di offerta. Comparve un luminoso bagliore di luce rossa talmente vivido, che fu costretto a chiudere gli occhi. Quando li riaprì era apparso sulle dita sottili delle mani di Nehor una lunga catena di bronzo con un medaglione dello stesso materiale con l’effige della testa di un felino che volge a destra. «Questo è per il viaggio» raccomandò lei.

Gahone lo indossò al collo «Grazie Nehor. Ti sarò eternamente riconoscente per questo tuo regalo» e fece un profondo inchino Uff... questo corpo è così... pesante e goffo...

Nehor tese un dito nel vuoto e mormorò:

Il più doloroso e lieto

dei momenti della vita,

quando l’amata prole

varca la porta di casa

per non fare ritorno. 

La punta dell’indice s’illuminò di rosso e disegnò un rettangolo in aria. Quando completò la figura, una luce rossa occupò l’intera area, divenendo un portale di cui non si vedeva né il fondo, né il resto della sezione. Nehor si sedette esausta, sostenuta dagli altri primordiali «Ora va’ e attendi il nostro arrivo! Goditi questo breve tempo in solitudine, mio Gahone. A breve ci riuniremo!» lo salutò Nehor che aveva il fiatone.

Tutti salutarono Gahone, in particolare Tadewi e Gehult salutarono tristemente e Ryodal commentò «Ehi! Tienimi in caldo le signorine, poi ci penso io a raffreddarle!» e ammiccò.

Gahone sorrise «Allora, vi precedo!» ed entrò nella porta.

La luce rossa si spense e si trovò ad attraversare un lungo corridoio buio. Non vi erano pareti, né soffitto, solo un’immensa distesa di nero infinito che si nutriva della sua stessa oscurità. Muoveva i suoi passi incerto, ma per fortuna il pavimento, o il terreno, o qualunque superficie stesse calpestando era solida. Anzi, parve che a ogni suo passo, comparisse una mattonella di luce bianca sotto i suoi piedi.

Uhm... non sembra sia ancora Nesia... sarà meglio procedere.

Camminò per diversi minuti senza deviare, non trovando altro che buio e strane mattonelle bianche, che rappresentavano l’unica fonte di illuminazione. Non aveva paura, anzi aveva creato persino un gioco per intrattenersi, che consisteva nel calpestare il centro perfetto di ogni mattonella.

Più avanti trovò un paio di bianche ombre luminescenti. Si trattava di un uomo e di una donna. Avevano entrambi dei lunghi capelli, ricci per lui, lisci e svolazzanti per lei. Erano entrambi magri come acciughe e avevano vestiti semplici indosso, una camicetta, con dei pantaloni alti alla caviglia, lui, con una gonna a campana, lei, non avevano decorazioni, né cinture e camminavano scalzi. Non appena lo videro, lei lo indicò e i due lo salutarono allegri «Che la terra ti sia lieve, giovane viandante» lo riverirono all’unisono.

Gahone si accigliò Che strano saluto... «Ehm... anche a voi... giovani viaggiatori...»

Lei ridacchiò «Ah ah... pensa che siamo giovani...» e l’uomo annuì e ridacchiò anche lui, mettendo un dito davanti alle labbra per fare cenno di fare silenzio.

Gahone fece spallucce «Scusate, potreste dirmi dove ci troviamo?»

Le due ombre si guardarono stranite «Mi sa che è un nuovo arrivato...» farfugliò lui e l’altra concordò. «Mio buon uomo, mi spiace dirti che se sei qui, sei in un luogo dove ormai cose come questa che hai chiesto non hanno più importanza...»

L’altra ombra annuì «Dov’eri l’ultima volta? Eri in battaglia? Eri in un letto? Magari hai fatto qualcosa di strano con qualche bella signorina...» e ridacchiò maliziosa.

Gahone si accigliò «No... ho attraversato una porta e...»

Le due ombre fecero un dispiaciuto cenno d’assenso «Ah... e ti è caduta addosso!» concluse lei, lui fece un cenno con aria consapevole «Un po’ atipico, ma molti sono qui per qualche assurdo incidente...»

Sì... buonasera... questi sembrano due suonati... «Ehm... in verità no, si è semplicemente chiusa... come fanno le porte normali...»

Le due ombre si guardarono stranite e fecero spallucce con aria interrogativa.

Forse... non è il caso di proseguire ulteriormente con la conversazione... «Ecco... visto che sembrate del luogo, potreste gentilmente indicarmi la porta per raggiungere Nesia?»

Le due ombre si scambiarono un’altra occhiata sbigottita e lei scosse la testa. L’uomo fece una smorfia contrita «Mio caro figliolo, mi spiace, ma non abbiamo idea di cosa tu stia parlando...» e lei aggiunse «Mi spiace...»

Gahone fece un sorriso forzato «Non importa, grazie lo stesso, miei signori...» dopodiché salutò «Allora, che la grazia di Nehor vi accolga nella sua immensa benevolenza!»

Le due ombre salutarono imbarazzate «Che il riposo ristori il tuo spirito...» e quando Gahone proseguì oltre, rimasero lì confuse.

Tornò a vagare nell’oscurità. Non ricordò quanto tempo dopo, ma davanti a sé si parò una superficie rettangolare fatta di roccia bianca, delimitata da due colonne scanalate ai lati e reggevano un architrave triangolare totalmente sguarnito di decorazioni. La parete non aveva serrature, né maniglie e Gahone si fermò davanti a essa. Quando si fermò comparve una scritta in oro: Viandante, davanti a te si frappone un mondo che non ti appartiene, il mondo di Nesia.

Gahone sorrise «Sono arrivato allora...»

La scritta precedente si dissipò e ne comparve una nuova: Quando passerai oltre, un nuovo mondo si dischiuderà davanti a te. Ciò che ti appartiene, non sarà più tuo e ciò che non possiedi, potrà essere conquistato. Gahone annuì. La scritta scomparve e ne ricomparve una nuova: Quando passerai di qui... io terrò memoria di tutto ciò che accadrà. Sei consapevole di cosa questa scelta comporti?

«Sì.»

Viandante che giungi da un mondo lontano, sei sicuro di voler varcare queste soglie? Potresti non ritrovare più la via di casa.

«E sia allora...» rispose gioviale Quanto la fa drammatica...

La scritta scomparve e ne ricomparve una nuova. Bene. Protendi la chiave che ti è stata affidata e poggiala qui.

Porse il medaglione e lo poggiò al centro. Un piccolo foro a forma di calco di testa di felino s’incise sulla porta. Sull’architrave si disegnò il simbolo di un ottagono regolare, il simbolo del suo elemento. La porta si aprì e un’abbagliante luce lo investì.

Gahone sorrise. Finalmente! Libertà! Ed entrò deciso verso la luce.

Ma non appena mise il piede fuori, cadde nel vuoto, cozzò contro una parete rocciosa, batté la testa e il braccio, finendo per cadere rovinosamente per terra.

«Ahi ahi...»

Sentì dolore ovunque, mentre provò a rialzarsi impiegando molti sforzi, disteso di pancia com’era.

«Chi va là?» tuonò una voce femminile allarmata.

Gahone fece fatica a girarsi «Ah... che male...»

Poco dopo sentì una punta fredda di metallo nei pressi della testa «Chi sei, mostro? Perché ci stai attaccando?» lo richiamò furiosamente.

Gahone si mise in ginocchio con estrema difficoltà e guardò davanti a sé. Si palesò la donna chiamata Selora che gli stava puntando la scimitarra in viso con un cipiglio minaccioso, al suo fianco c’era la donna chiamata Antar che lo osservava con diffidenza e preoccupazione, aveva la scimitarra sguainata, ma non gliela stava puntando contro.

«Ehm... salve...» salutò con un lieve sorriso, mentre si rialzò in piedi, incurante dell’arma e si sprimacciò la tunica.

Antar sgranò gli occhi e Selora gli avvicinò l’arma al viso «Ehi, sta’ giù! O t’infilzo come un vitello!»

Gahone osservò la lama «Con questa?» la prese tra le dita e la osservò con curiosità, girandola da un punto all’altro. Antar era sempre più allibita, mentre Selora era scandalizzata dal comportamento dell’uomo.

Infine sbuffò beffardo «Pfff... ma chi vuoi infilzare con questa? È una patacca!»

Antar scoppiò in un risolino, mentre gli occhi di Selora s’inebriarono d’ira funesta, agitandosi come dei vortici di fiamme «Ma quale patacca?! Questa l’ho forgiata io! È stato mio padre a insegnarmi l’arte della forgiatura!»

Gahone scosse la testa avvilito «E allora fattelo dire, era proprio scarso! Se davi trenta metà d’argento a Naar te la faceva meglio...»

Antar rise, mentre Selora sollevò l’arma per menare un fendente «Brutto insolente... ora...»

Ma l’amica la fermò «Selora! Calma!» poi si rivolse a lui «Si può sapere chi sei?»

Gahone si grattò la nuca «Ah... io mi chiamo Gahone e... sono caduto... da quella montagna...»

Selora sbraitò ancora più indignata «Sei caduto dalla montagna dei pazzi?»

«Ah... è così che la chiamate...» e si girò per ammirare la montagna un po’ stranito Non so se sia una buona idea spiegarle proprio tutto... «Credevo si chiamasse Caar Reln...»

Antar annuì con gentilezza «È così infatti. Ma che ci facevi lì?»

Gahone rispose con difficoltà «Ah... ecco io... vengo da una terra lontana... e sono... un esploratore... Il mio popolo mi ha mandato qui... per vedere cosa c’era... al di sotto della montagna...»

Antar sorrise divertita «Il tuo popolo? Chi? I pazzi della montagna?»

Gahone fece spallucce «Magari... Il mio popolo è normale, ma ogni tanto... ha delle idee bislacche...» e pose l’indice destro attorno alla tempia e lo ruotò.

Antar rise più forte, mentre Selora rimaneva ancora diffidente «Perché ci hai attaccato?»

Gahone sospirò avvilito Questa è più dura di comprendonio di Nehor... «Non vi ho attaccate io! Scusa, secondo te uno che vi vuole attaccare, precipita da una montagna come un sacco di patate?»

Antar ripose la scimitarra «Su questo devi dargli ragione. Abbassa l’arma, è solo un... esploratore... un po’ imbranato...»

«Ehi... non sono imbranato!» protestò Gahone.

«Hai ragione, non lo sei solo un po’...» ribatté Antar divertita, mentre Selora ripose la spada, mantenendo lo sguardo torvo su di lui.

Gahone boccheggiò «Insomma... potrei sapere che ci fate qui... intendo... da queste parti...?»

Antar annuì «Ecco... siamo state inviate dal nostro villaggio per rintracciare un covo di banditi bake che hanno fatto razzie...»

Selora completò «Secondo le informazioni che abbiamo ricevuto, il loro covo doveva essere tra questi altipiani...»

Gahone annuì consapevole «Oh! Capisco...» si grattò la nuca «Beh... se avete bisogno di una mano...»

Antar scosse la testa «Esploratore Gahone, non essere sciocco... Non siamo di certo in gita di piacere qui.»

«Infatti! Per rintracciare un covo, potreste aver bisogno delle mie abilità... da esploratore... Inoltre sono affine alla magia degli armonizzatori...» fece con un sorrisetto.

Antar e Selora rimasero sbigottite e il donnone ringhiò «Magia...? Sei uno stregone! Sei maledetto!»

«Armonizzatore...» puntualizzò Gahone «E poi suvvia, che significa che sono maledetto? Certo, mi becco imprecazioni, bestemmie e maledizioni quotidiane esattamente come qualsiasi altra entità di questa terra... cioè della mia terra...» fece spallucce «Quindi non sono più maledetto di tanti altri qui!»

Antar ridacchiò e scosse la testa.

Gahone udì un lieve suono allegro nelle sue orecchie, come il verso di una canzone ritmata e percepì il suo cuore battere più vigoroso e vitale. Incitato da tali sensazioni, il primordiale divenuto umano aggiunse «In ogni caso, visto che temi così tanto la magia, forse sarebbe un bene avere dalla tua parte qualcuno che la sappia padroneggiare, non credi? Così avresti un’arma in meno da cui cautelarti!»

Sentì nuovamente un suono, stavolta più forte e deciso, come quello di un applauso alla fine di un lungo discorso.

Selora fece per ribattere, ma Antar la fermò con un cenno «Ci scusi un momento?»

Gahone annuì e le lasciò ritirare.

Le due si voltarono e bisbigliarono «Che ne dici? Possiamo portarlo con noi...»

«No, è troppo pericoloso! Questo è uno che porterà sventure!» ribatté Selora.

Antar ridacchiò «Ma che sventure! Questo è solo un vagabondo imbranato! Sarà più sfortunato se rimarrà da solo qui a inciampare nei suoi piedi!»

«Non saprei... E se fosse una trappola? E se fosse quello che ti ha fatto perdere il fiato poco fa? Ha detto che sa usare la magia, hai visto come si vantava? Secondo me è stato lui a maledirti!» obiettò la donna.

Antar lanciò un’occhiata a Gahone, ebbe un attacco di risa e scosse la testa «Ma no... non lo so... non mi sembra cattivo... Portiamolo con noi. Se dovesse rivelarsi una trappola, lo uccidiamo seduta stante.»

Selora fece spallucce «Non saprei. Ma se tu ti fidi...»

Antar annuì «Ho un buon presentimento.»

Le due si girarono «D’accordo, esploratore Gahone. Avrai l’onore di venire con noi!»

Ottimo! Non potevo sperare di meglio! Ora avrò due guide per orientarmi meglio su Nesia! «I vostri nomi?»

Selora fece un lieve cenno col capo «Io sono Selora Lehi En.»

Antar si avvicinò a Gahone e gli tese la mano «Io sono Antar Delux Sarq.»

Al solo sentire quel nome, Gahone avvertì un velo di leggerezza accarezzargli il cuore. Sembrò percepire il gentile e affettuoso tocco di una coperta che riveste un corpo spossato in una gelida notte.

Il momento in cui tutto ebbe inizio.

«Orchid!» sbraitò la voce di Kasmiah alle spalle.

L’ombra sussultò e si guardò intorno distratto. Davanti a lui si parava la gigantesca parete di roccia nera di Caar Reln. Era ai piedi della scalinata di quello che era conosciuto dai bactriani come il Sepolcro di Cadrum Fahr. Alle pareti vi erano i dipinti dell’incontro tra i draghi e i bactriani, di cui spiccava il duello tra suo fratello Kasmiah e l’araldo Antar e il loro matrimonio celebrato più di mille anni or sono. Era in piedi al centro del tempio di pietra, ai cui quattro angoli vi erano le statue di quattro draghi in pietra bianca, che da molti anni erano ormai state montate, da quando l’ultimo ricettacolo di Naar era venuto a porgere omaggi a suo fratello.

Davanti a lui vi erano scanalature incise nella roccia, come due colonne incavate al loro interno, poco più in alto vi era il simbolo della Ruota degli elementi, senza i simboli esterni. Essi delimitavano l’unica parete liscia della montagna, di quando in quando apparivano dei testi nell’antica lingua e lui si dilettava a leggerli. Conosceva l’intero testo a memoria, ma poiché non poteva mai lasciare quel luogo e non c’era molto altro da fare, talvolta tornava a leggere quel racconto.

Poco dopo vide suo fratello ai piedi della scalinata che portava ai suoi alloggi in alto. Kasmiah ringhiò furioso, facendosi uscire del fumo dai lati della bocca «Ti sto chiamando da venti minuti! Si può sapere che stavi facendo?!»

Orchid osservò le pareti «Ah, stavo leggendo...» e indicò la parete «Ma è normale che il testo cambi ogni giorno?»

Kasmiah ringhiò ancora più furioso «Sì... sì... sì! Per la decimillesima volta, sì! Quante volte te lo devo dire?»

Orchid schioccò le dita, scomparve in una nube di fumo e ricomparve davanti a suo fratello, guardandolo dritto negli occhi con la sua faccia scheletrica «Me lo dovrai ripetere per tutte le volte che te lo chiedo!» esclamò con la sua forte voce nasale. Indicò nuovamente la porta «Quindi è normale che il testo cambi ogni giorno?» lo stuzzicò divertito.

Kasmiah grugnì rabbioso «Tsk... mi fai venir voglia di distruggere quella maledetta porta e tutto quello che c’è dentro...» e scosse la testa con amarezza.

«E allora perché non lo fai?» domandò curioso con un malevolo sorriso.

«Perché bisogna prima aprirla e abbiamo bisogno di qualcuno che abbia la chiave e l’affinità dell’elemento di chi l’ha aperta...» ribatté duramente il drago «Ma tanto che te lo spiego a fare? Lo sai già!»

Orchid fece spallucce. Era evidente che era in vena di far perdere le staffe a suo fratello «Quindi abbiamo bisogno di un inarrestabile, vero?»

Kasmiah tirò un profondo respiro «No... Abbiamo bisogno di uno di quel maledetto elemento... e che probabilmente non esiste più...» ribatté rabbioso.

Orchid rimase fermo a guardare suo fratello che osservava la porta con aria pensierosa «Magari... se andassimo a Raqi lo troveremo, no?» lo provocò l’ombra sghignazzante.

Kasmiah scoccò un’occhiataccia a Orchid che d’improvviso sussultò «Ma aspetta un momento! Tu! Sei uscito dalla tua stanza!» Mise le mani sopra la testa «Prima Nehor si risveglia, poi arriva la fine del mondo e adesso tu che alzi dalla tua postazione su quella scomoda roccia! Siamo spacciati sul serio!»

Kasmiah digrignò i denti «Ma la pianti di fare il cretino, per una benemerita buona volta?» provò a calmarsi «Dobbiamo allertare quei tre scapestrati e dirgli di andare alla ricerca di colui, o colei che possa aprire quella maledetta porta...»

Orchid fece cadere la sua mandibola dalla sorpresa «Vuoi dire che farai qualcosa oltre a piangerti addosso per la morte della tua adorata ex moglie Antar?» Mise le mani sopra la testa e urlò «Moriremo tutti!»

«Ma la finisci, o no?!» sbraitò rabbioso il re drago «Avevo percepito che gli eventi stessero precipitando, ma non credevo che fossimo arrivati già a questo punto. Dobbiamo allertare i re e aprire quella porta prima che sia troppo tardi...» 

Orchid osservò la porta «Ma si può sapere cosa c’è qua dentro?»

«Questa è una delle Porte degli Elementi. Custodisce una forza in grado di mettere fine a questo scempio che chiamiamo Nuovo Mondo...» scosse la testa «Maledizione... ho commesso un grave errore... credevo che Naar sarebbe ritornato da me una volta ricomposta Hariq e invece è andata dritta da quell’imbecille...»

Orchid sparì e riapparì sopra la testa del fratello, appeso a testa in giù, guardandolo come un pipistrello «Ed ecco che torna a piangersi addosso...»

Kasmiah mise l’indice e il pollice all’attaccatura degli occhi «Giuro che ti brucio vivo prima di uscire da qua dentro...»

Orchid lo guardò di sbieco «Tu, mio caro fratello, devi fare pace col cervello. Dopo anni che resti qui rintanato a non far niente, d’improvviso decidi di punto in bianco che dobbiamo distruggere il mondo?»

Kasmiah masticò della saliva ondeggiando la mandibola «Andiamo a chiamare Soraya, Vimak e Cain...» e fece per uscire.

Orchid era sempre più confuso «E cosa dovrebbero fare loro? Due pernacchie a Nehor? Mica da soli possono fronteggiare i Quattro Cavalieri?» il fratello continuò a correre lungo il corridoio «Ehi, Kasmiah, aspetta! Ma che sta succedendo? Kasmiah!»

E gli ultimi due draghi occidentali rimasti in vita, spiccarono il volo per radunare i re di Bactria e affidargli un importante messaggio e una missione di vitale importanza.

Copyright © 2024 - 2025 · Antonio Porro · all rights reserved.

bottom of page