Capitolo 28
La spezzata freccia del tempo
Il nulla.
Ovunque.
In qualunque istante.
Nulla.
Non percepiva rumore, o suono, se non un costante ronzio fastidioso che brontolava in sottofondo. Aveva sempre lo stesso tono. Aveva sempre lo stesso suono.
Non era possibile determinare se si trattasse di voci, di sussurri, rumori di sottofondo, di versi di animale, o suoni della natura. Era un costante ronzio fastidioso che penetrava nelle orecchie. Sebbene non sapesse con precisione dove fossero le sue orecchie. Eppure sembrava che indipendentemente da tutto, esse fossero attratte dai rumori di molesta presenza, poiché non faceva altro che udirne perennemente il rumore.
Che fossero proprio le sue orecchie a emettere quel suono?
Che fosse una maniera per richiamarla, per farle percepire qualcosa?
D’altronde che bisogno c’era di tenerla in allerta? Anche se avesse avvertito un pericolo, cosa avrebbe mai potuto fare per evitarlo?
Non sapeva dove fosse, non sapeva chi fosse, non sapeva cosa fosse.
Pericolo? Aiuto? Soccorso?
Erano davvero parole reali quelle?
Tutto ciò che stava vivendo era reale? Oppure no? Era tutta una paranoia nella sua testa? Ma aveva ancora una testa con cui creare paranoie?
Paranoia.
Paranoia. Paranoia. Paranoia.
Tutto era paranoia.
Anche quel maledetto ronzio che in realtà non esisteva. Soprattutto quel maledetto ronzio in realtà non esisteva. In verità la realtà era soltanto un ronzio fastidioso, un brulichio di regole insensate, versacci gutturali e chiacchiere futili, finché non ci si liberava di tutti quei sibili brontolanti e quel brusio diveniva un rumore di sottofondo, mentre la mente proseguiva con la sua vita e il proprio proposito di sopravvivenza, che rendeva il tutto degno di essere vissuto.
Eppure percepiva quel borbottio rumoroso e così fastidioso. Forse ci stava pensando troppo sopra. Forse il ronzio era un vero ronzio e lei stava percependo un ronzio che le dava noia. Sembrava che una mosca le fosse entrata nell’orecchio.
E se fosse stato davvero quello il motivo per cui non faceva altro che sentire quel ronzio?
In realtà una mosca era entrata nel suo orecchio, si era fatta strada nel canale uditivo ed era entrata nel suo cervello. Rinchiusa nella scatola cranica non faceva altro che balzare da un punto all’altro della sua testa per cercare di uscire, ma come sono stupide le mosche, non riusciva a rientrare dal punto in cui era entrata e continuava a sbattere contro il medesimo punto della sua testa alla ricerca di un’uscita, che ovviamente non avrebbe mai potuto trovare, sbattendo in un punto chiuso a caso della scatola cranica, alla stessa maniera in cui andavano alla ricerca di un punto cieco in una finestra chiusa, persistendo nello sbattere nello stesso punto nel vetro.
O forse anche quella era una sua paranoia.
Perché il pensiero di un insetto che banchettava nel suo cervello e si faceva un bel giro turistico a scornarsi come una capra nel suo cranio non era raccapricciante? Era preoccupante che non provasse ribrezzo per una tale idea? Ma poi cos’era il ribrezzo? Era davvero reale, oppure era una parola inventata per occupare il cervello della gente? Era anche quella una paranoia? Era come la parola paranoia che ormai era stata ripetuta così tanto spesso nella sua mente che aveva perso di significato?
Ma le mosche entrano nel cervello delle persone?
E se fosse entrata dalla bocca sarebbe stato diverso?
Forse sì, poiché aveva la bocca impastata e ricoperta di un amaro sapore che le colava fino in gola. Sembrava che avesse ingurgitato inchiostro liquido. Forse la mosca sarebbe affogata in quella marea d’inchiostro amaro che aveva ingurgitato. Chissà se la sua lingua era divenuta nera. Avrebbe potuto lavarla con l’acido. In fondo l’acido scioglie l’inchiostro. E con un po’ di fortuna non avrebbe di certo sciolto la lingua. Quel saporaccio non se ne andava. Non è che per davvero avesse inghiottito una mosca? Le mosche sono amare? Ma se effettivamente ci fosse entrata una mosca, allora sarebbe stato troppo tardi. Ormai quella bestiaccia era entrata ed era stata inghiottita. Però non poteva aprire la bocca in quello stato. Oppure sì? Aveva aperto la bocca mentre cercava di scacciare quel ronzio? Forse aveva provato a urlare per mettere a tacere il rumore e aveva inghiottito amaro. E se invece la mosca era effettivamente entrata dalla bocca ed essa era chiusa, come aveva fatto a entrare? Se era entrata dalle orecchie da cui sentiva il ronzio, perché sentiva amaro?
Forse in realtà non esisteva né la mosca, né il ronzio, né l’amaro e nemmeno il suo corpo.
Era tutta una paranoia.
Però quanto dava fastidio quel senso di amaro che aveva in bocca.
Ma poi perché?
D’improvviso si sentì un rumore dal suo stomaco. Era come un rigurgito di acido e veleno, che andava in ebollizione e poi cadeva nel vuoto. Avvertiva i suoi muscoli organici tentare disperatamente di mangiare loro stessi per farsi forza, sforzandosi all’estremo, affaticandosi e stirandosi fino a farsi venire i crampi per riuscire a sopravvivere. Eppure quella sensazione di vacuità le provocava intensa rabbia. Sembrava che fosse affamata e le mancasse qualcosa. Ma l’amaro che aveva in bocca scendeva fino all’esofago, non voleva proprio saperne di aprirsi e con quel saporaccio, chissà se avrebbe mai voluto toccare cibo. Tuttavia lo stomaco gorgogliava come uno stagno acido dove galleggiava il nulla e le cui acque discioglievano ogni cosa entrasse in loro contatto. I suoi polmoni erano pieni. Erano talmente pieni che avevano smesso di funzionare e l’avevano fatta smettere di respirare. Chissà però di che cosa erano pieni...
Di fumo?
D’inchiostro?
Mosche?
Paranoie?
Solo in quel momento si rese conto che forse avrebbe potuto respirare. In effetti il suo cervello stava partorendo pensieri, quindi era l’ossigeno che lo stava alimentando.
Di certo un cervello non si alimenta con le paranoie.
Oppure sì?
Il cervello si alimenta tramite il pensiero, quindi si alimenta a paranoie. In effetti non sapeva cosa dire. Effettivamente non diceva niente. Oppure stava parlando? Perché mai avrebbe dovuto parlare? E se effettivamente stesse parlando e non se ne fosse minimamente resa conto? Se tutto ciò che stava pensando lo stava declamando a gran voce? Chi avrebbe sentito? Avrebbe districato quel pensiero e lo avrebbe reso sensato? Ma in effetti non lo era già? In fondo ogni pensiero creato dalla mente aveva un senso. Certo non quello che donne, uomini, umani e bake conferiscono alla realtà, però un senso ce l’aveva di sicuro. Quale esso fosse però, non ne aveva la più pallida idea.
Sentì un qualcosa punzecchiarle il mignolo sinistro. Era appuntito e affilato, eppure al tocco lo percepiva ovattato come se un soffio di nuvola l’avesse a stento sfiorata. Provò ad afferrare quel fulgido tocco, ma riuscì a muovere solo il mignolo in senso contrario, tendendolo in maniera eccessivamente rigida.
Il ronzio fece nuovamente eco nelle sue orecchie.
Ma ora cambiava in frequenze differenti. Prima più intenso e profondo, poi a intermittenza e più acuto.
Chissà perché non provò più a muoversi e tantomeno ad afferrare quel tenue tocco.
Ma quel ronzio si fece molesto e lontano, come un soffio di gelido fiato instillato nell’orecchio durante una notte di sonno.
Non riuscì a capire il perché, né il per come, ma non voleva più muoversi. O forse non ne sentiva più il bisogno. Oppure non riusciva a farlo.
Perché non si muoveva? Era un problema che fosse immobile? Eppure stava pensando, quindi esisteva, in qualche maniera sopravviveva. Il movimento era così necessario per esistere? La sua mente era lucida? Bastava alla mente alimentarsi di un pensiero ossessivo per continuare a considerarsi viva? Poteva continuare a limitarsi semplicemente a esistere per godere del dono della vita? In effetti si poteva affermare con certezza che coloro che si muovevano si stavano davvero beando della vita? Ma era davvero in vita, o stava solo immaginando tutto quello che le passava per la mente? Era necessario che tra corpo e mente vi fosse un accordo? Oppure era sufficiente che funzionasse una delle due per continuare a vivere? Era necessario uno scopo? Oppure era sufficiente limitarsi a esistere? Affannarsi o rilassarsi? Si poteva vivere tranquillamente inseguendo ciò che stuzzicava il proprio desiderio, o era necessario adattarsi alle regole della comunità, reprimersi e non creare disarmonia nel gruppo?
Ad esempio la sua mente partoriva pensieri ed era in piena attività, il suo corpo non aveva né voglia di muoversi, né il bisogno, il suo stomaco doleva, ma la bocca era affamata, dato che aveva appena ingurgitato inchiostro amaro in cui stavano sguazzando le mosche.
Era tutta una paranoia inutile?
Non poteva più smettere di pensare. Ma stava davvero pensando quelle cose, o era la follia della non esistenza a dare voce e parole a caso a un foglio bianco di nulla?
Percepì un altro tocco nello stesso punto. Ma stavolta non fu piacevole. La punse in più profondità, come la puntura di un’ape.
Che sta succedendo?
Provò a chiudere la mano, sentì fili d’erba tra le dita.
Dove mi stanno portando? Dove sono?
Provò ad annusare l’aria, ma il suo olfatto era oppresso da uno strano odore amarognolo e sembrava persino oppresso da un qualcosa che lo tappava. D’improvviso sentì la bocca ancora più impastata e qualcosa di viscido le colò dal lato delle labbra. Strizzò gli occhi, sembrava che qualcuno gli avesse appiccicato addosso una lumaca con sopra una sanguisuga.
Bleah... che fastidio! Toglietemela di dosso! Toglietemela di dosso!
Provò a lamentarsi, ma non riuscì a dire nulla, o forse ci era riuscita e la stavano ascoltando com’era accaduto poco fa, quando stava parlando e tutti la stavano ascoltando.
Ma tutti chi? Stava davvero parlando con qualcuno? Oppure era solo una sua paranoia?
Provò un senso di profondo fastidio. La lumaca stava scivolando lentamente sul suo viso e la bava di lumaca stava strisciando disgustosamente sulla sua pelle.
Provò a protestare.
Questa è tortura! Che schifo! Ma cosa vogliono farmi? Cosa stanno facendo?! Toglietemelo di dosso!
Avvertì di nuovo un vuoto allo stomaco. Le viscere le si contorcevano, un intenso dolore si formò nel suo ventre, sembrava quasi che un buco si stesse formando nella sua pancia e la divorasse dall’interno. Provò un profondo senso di fastidio e dolore. Esso si diffuse verso il basso ventre e sentì le gambe molli.
La lumaca stava continuando a discendere fino al lato del collo.
Provò così tanto dolore e fastidio che non riuscì a contenersi.
Che diamine mi stanno facendo?!
Emise un lieve ringhio e aprì gli occhi. Sebbene li aprì lievemente, come se fosse in dormiveglia, sentì dolore all’interno del nervo ottico. Chiuse gli occhi e li strabuzzò per cercare di riprendere la vista. Tutto era appannato e sgranato. Vedeva macchie bluastro nere, unite a balugini di bianco.
Che... è successo? Dove sono?
Scosse la testa, cercando di scrollarsi di dosso quel dolore pulsante negli occhi.
Si risvegliò su una superficie scomoda.
